Penny Walsh controlla i danni del terremoto in una delle sale della biblioteca di Gisborne, in Nuova Zelanda. Un potente sisma di 6,8 punti sulla scala Richter ha distrutto edifici e causato molti danni nell’area (Gisborne Herald/Afp)
CAMPO DEI MIRACOLI PER COLLEZIONISTI PINOCCHI E ALLOCCHI
Chiunque possegga “oggetti materiali” connotabili come opere d’arte moderna o contemporanea (dipinti, sculture, altro cartaceo) provenienti dalla Galleria Marescalchi di Bologna, con sede succursale a Cortina d’Ampezzo, verifichi la loro legittima provenienza e la loro unicità, oltre che la loro autenticità. Ha detto ciò il giudice pm Antonello Gustapane del Tribunale di Bologna durante la conferenza stampa del 28 novembre 2007, successiva al sequestro di 253 opere d’arte e all’arresto del gallerista Italo Spagna, genero d’arte (e non “figlio d’arte”, come ha scritto un cronista) del gallerista Mario Marescalchi defunto nel 1991.
E’ la storiaccia di una galleria gatta associata a volpi per mercanteggiare quadri e sculture, vendendoli a collezionisti pinocchi nel campo dei miracoli affaristici relativi a opere d’arte moderna e contemporanea.
Ha per protagonisti individui eterogenei pervenuti al benessere commercializzando opere d’arte senza il possesso di alcuna conoscenza specifica, intenditori d’arte quanto lo sono coloro che considerano autentiche soltanto le opere “ugualidentiche” autenticate e archiviate. Il Marescalchi pervenuto nel 1973 all’attività di gallerista e mercante d’arte dalla professione di parrucchiere per uomo; Italo Spagna in tutt’altre faccende lavorative affaccendato, prima di sposare la figlia del Marescalchi; il calciatore Roberto Bettega occasionalmente morandofilo ingannato, l’ex ristoratore socio d’affari di volta in volta, l’ex corniciaio riccamente ammogliato; un anziano fotografo “clonatore” connivente adeguatamente retribuito; due gemelli bergamaschi acquirenti spregiudicati di opere d’arte a buon prezzo da venditori in difficoltà; un ricco imprenditore astuto col bilancio privato in attivo, impegnato a darsi ulteriore redditività esentasse, comprando e vendendo per interposta persona dipinti e sculture in comproprietà, d’autori internazionali ben quotati.
Il quotidiano “la Repubblica” ha notiziato giornalmente il fattaccio con questi titoli: La truffa dei Morandi falsi. Ai domiciliari il “titolare” della Marescalchi. Sigilli alle gallerie (28 novembre) – Fate controllare i vostri quadri. L’appello del pm ai clienti della Marescalchi: troppi falsi in giro Bettega compra la natura morta ma è una fotografia (29 novembre) – Spagna oggi davanti al pm. Anche un perito contro il gallerista (30 novembre) – Si, il Morandi di Bettega l’ho falsificato io (1 dicembre) – Ma io i quadri falsificati non li vendevo. Li regalavo (2 dicembre) – Faccia a faccia Spagna-Bettega (3 dicembre)- Spagna contro tutti, confronti a raffica (4 dicembre)
Mi si prospetta la scrittura di una “novella” con protagonisti un mercante d’arte gatto naive associato a un businessman volpe astuta per gabbare collezionisti pinocchi fiduciosi e ingenui, con avventure e disavventure nel bosco e nel sottobosco del mercato dell’arte.
Poiché di Mario Marescalchi gallerista bolognese in carriera e del suoi mercanteggiamenti ho già scritto più volte, ripropongo in lettura – nel frattempo – le pagine che seguono, apparse in “Nucleo Arte” nel 1991, considerandole profetiche ed emblematiche.
DELL’ARTE MEDIOCRE E VELLEITARIA
A FIRENZE DAL 1° AL 9 DICEMBRE 2007
Sesta della serie, presieduta e vicepresieduta familisticamente da cognomati Celona, con l’onni-expo-sciente Maurizio Vanni reclutato e calendariato come unico addetto ai lavori della critica d’arte militante stanziale fiorentina, “presentatore” di un micro evento orale collaterale, è documentata a futura memoria da un voluminoso Catalogo, pesante quanto un “tomo” delle enciclopedie d’altri tempi, nel quale risultano schedati rigorosamente in ordine alfabetico 840 artisti provenienti da 76 Nazioni (ma non residenti ivi in gran numero).
Griffata “Città di Firenze”, senza alcun patrocinio culturale avallante notorio e prestigioso, è stata allestita con 2500 opere negli spazi fieristici e locabili della Fortezza da Basso, destinata ad essere bio-biblio-icono-grafata come evento artistico datato 2007 nei CV degli artisti catalogati, quasi tutti promoter della propria attività espositiva e con nessuna dimora mercantile diversa dalla propria.
L’illustrazione che segue riproduce la pagina che documenta la presenza nel catalogo di Lolita Timofeeva, pittrice lettone cittadina bolognese dal 1993, con un dipinto eseguito su tela nera a Riga in Lettonia, prima della sua immigrazione in Italia per matrimoniarsi precariamente nel 1991 a un cittadino italiano di origine lucana.
La superficie parietale disallestita in angolo destinata col n. 377 nella
Biennale fiorentina alla Timofeeva.
PALAZZO LUCARINI CONTEMPORARY NON E’PIU’ IL TREVI FLASH ART MUSEUM LOCI GENERATO DAL GENIUS LOCI GIANCARLO POLITI:
perché è divenuto luogo espositivo occupato da iniziative di squallido sottobosco, tese sempre ad un possibile scambio di favori: luogo di un triste “scambio di favori”, con mostre di studenti delle Accademie di Belle Arti, oppure di artisti locali et colleghi omologhi, ospitati in occasione della sagra del sedano e della salsiccia, o dei festeggiamenti in onore del Santo Patrono strapaesano.
Come il Museo di Nocciano (Pescara) generato da Eugenio Riccitelli, lo Young Museum di Revere (Mantova) generato da Nicola Dimitri, il Forum Artis Museum di Montese (Modena) generato da Fabio Tedeschi e tant’altri Museum Loci, Gallerie d’Arte Moderna e Pinacoteche Comunali gestite da Genius Loci operatori artistici e culturali marginali… location per expo stagionali enfatizzate soltanto dai cronisti locali , collaboratori corrispondenti dei mass media territoriali, laudatori full time del localismo parodico ed epigonico sostenuto e condiviso da un micro bacino di utenza eterogenea e superficiale.
FESTEGGIATO OGNI 17 GENNAIO A NOVOLI DI LECCE
La mia memoria personale del S.Antonio Abate e della sua “Focara” festeggiati ogni 17 gennaio a Novoli di Lecce, con tutto il trash scrittòrio sterile di chi continua a enfatizzare l’obsolescenza della tradizione in pubblicazioni varie, e di chi monetizza cinicamente il kitsch “multiplicato” che iconizza e oggettualizza, a due o più dimensioni, il Santo miracoloso e la sua paccottiglia indotta, l’ho editata ed emblematizzata “a futura memoria” tre mesi dopo aver compiuto i ventidue anni.
Nel gennaio del 1960 ho generato e redatto con alcuni coetanei “Lu Puercu” che tanto dispiacque ai parroci-censori Don Gennaro Delia e Don Ciccio De Tommasi, approvati dal Vescovo e supportati dal bollettino “La Voce del Pastore” micro-megafono massmediatico cartaceo strapaesano dell’ortodossia cattolica stanziale misoneista. Un numero unico modernista per famiglie che fece scrivere a Giorgio De Nini (La Tribuna del Salento, 28 gennaio): “…ricco di vispe trovatine umoristiche tratte da spunti della quotidiana vita novolese.
Più che al loro Protettore, i compilatori del giornale sembra abbiano chiesto a qualcuno dei protetti, ed in particolare al porco, la cui collaborazione è quanto mai evidente e si scopre con estrema facilità nei vari articoli, Vanno presi anche in seria ed attenta considerazione gli autori degli Atti Unici (pagg. 9 e 10) dai quali è stato evidentemente sopravvalutato il concetto sublime di una libertà incondizionata ed illimitata della stampa periodica od occasionale”.
Altra mia memoria personale riguarda la parodicità delle “rassegne-concorsi” e il velleitarismo di ogni iniziativa estemporanea (Novoli Arte e Lu Cuccu, per es.) patrocinata e finanziata dall’amministrazione comunale locale per attribuire competenze specifiche e dare credito artistico-culturale occasionale a faccendieri e visibilità paesana a creativi marginali, refrattari a sbarazzarsi della subalternità all’establishement politico in auge, in soggiorno artistico e culturale obbligato: concomitando con festeggiamenti religiosi ricorrenti e scantonando ogni altra iniziativa, tesa a rivelare e valorizzare l’esistenza e l’operosità di creativi novolesi professionali in soggiorno culturale prescelto e privilegiato altrove: nel 1600 Benedetto Mazzotta della Congregazione dei Celestini, lettore di filosofia e teologia a Bologna, aggregato all’ordine di San Benedetto; oggi pochi altri individui “esemplari”. Alla “Focara” dei miei anni infantili e adolescenziali sono mancate la fruibilità multietnica, la comunicazione massmediatica, la visibilità telematica e televisiva. Alla “Focara” dei miei anni anziani mancano le case prive dell’impianto di riscaldamento nelle quali traslocare le sue braci spente divenute carbonella. Della focara dei miei anni giovani ho scritto ciò che si può leggere ne La Tribuna del Salento del 14 gennaio 1960, ripubblicato ne Lu Puercu del 17 gennaio 1961, titolato :”Una focara famosa”. Riproducibile anche per la focara dei miei anni anziani che i novolesi miei coevi continuano a perpetuare stereotipa e folclorica col Sant’Antonio Abate, continuando a stabilire il medesimo rapporto con la ritualità laica e fieristica, la liturgia religiosa obsoleta, l’oggettistica e l’iconologia concepite consanguineamente e artigianalmente nell’orto dietro casa come in altri tempi, senza sperimentare liturgie eterodosse. Ignorando ogni ritualità alternativa meno tribale e l’iconologia artistica ortodossa e agiografica modellata altrove. A cominciare da un Sant’Antonio Abate (h.cm.107) datato 1475, scolpito nel legno da Lorenzo Di Pietro detto “Il Vecchietta” (Castiglione di Val d’Orcia 1412- Siena 1480). Considerando inopportuna e irrispettosa l’iconologia disagiografica che rappresenta il Santo come ne “Lu Puercu” del 1960 e in alcune incisioni erotiche francesi ottocentesche che illustrano le sue “tentazioni” di eremita col maiale (punk-bestia ante litteram).
Scrivo ciò perché sia dato un futuro vivo (non “contemperato”) a un passato morto (è il mio auspicio!), comunicato con scrittura revisionata da un esperto di editing, non considerando alcun passato concluso e compiuto: poiché il passato ha bisogno sempre di essere riproposto dall’immaginazione fertile del presente, dalla sua acutezza inventiva, dalla sua capacità di rapportarsi al mondo in modo nuovo e attivo.
(clicca sulle immagini per ingrandirle)
LO STORICO CARNEVALE DI IVREA
CON ARANCE ROTTAMATE
RI-APOREDIESIMENSIONATO
IN UN LIBRO DESTINATO AI BIBLIOFILI
Ho scritto un libro che ha per argomento lo Storico Carnevale di Ivrea. E’ intitolato “Conny cara non è un carnevale” (Fullimage Studio Editore Modena – Via Monviso 51). L’ho destinato ai bibliofili e alle libreria del sito www.maremagnumlibrorum, perchè ha le caratteristiche del prodotto editoriale duraturo. Un “libro unico” che sarà commercializzato col prezzo maggiorato dopo che avrà assunto lo status dei fuori catalogo.
Contiene tutte le lettere che ho scritto durante i giorni del Carnevale 2003, divulgate dal sito ufficiale del Carnevale, di giorno in giorno in concomitanza con l’evento. Contiene anche un campionario dei malumori suscitati tra gli eporediesi, costituiti da lettere che mi sono state indirizzate, corredate dalle mie risposte “ad personam”. Con riflessioni postume et altro intrigante che può risultare indisponente. Il tutto accompagnato a una selezione di illustrazioni già note agli eporediesi, farcite con altre inedite.
Gli eporediesi chiamati in causa da me con nome e cognome (come suol dirsi!) sono (in ordine alfabetico): Adriano Fornero, Barbara Masseroni-Moia (Mugnaia 2003), Francesco Gitana (La Diana Sandro Ronchetti (Il Piffero), Simona Verani in Celleghin (Mugnaia 2000), Helena Verlucca/Hever (Editore). Oltre ai cronisti locali e ai titolari delle “Cariche” presidenziali e segretariali che sovrintendono alla organizzazione dello Storico Carnevale.
“Gli occhi del giornalista hanno visto, la mente del letterato ha pensato, lo scrittore ha assimilato, metabolizzato ed espresso emozioni e disincanti”, si legge nella presentazione firmata Jacques Gubler. “Eventuali denigrazioni possono essere concepite soltanto da eporediesi dicenti o scriventi, agiografi autoreferenziali: usi a esprimersi con linguaggio convenzionale, agiografi del localismo, registratori di ogni accadimento carnevalesco con scrittura encomiastica”.
In ognuna delle lettere, indirizzate alla Conny del titolo, c’è quanto basta per godere la lettura di ciò che risulta scritto, a prescindere dai malumori di chi le ha disapprovate. Il libro non è reperibile nelle librerie di Ivrea che lo hanno giudicato libro scomodo perché disagiografico.
Le opere che risultano esposte a Verona nelle sale della Galleria La Meridiana le suppongo dipinte da una Manù intenzionata (consapevolmente, oppure inconsapevolmente) a intrattenere con la pittura, nel tempo che verrà, rapporti più fertili che in passato: sempre più ravvicinati, intensi ed esclusivi. Diversamente dai rapporti intrattenuti contemporaneamente anche con l’illustrazione di testi letterari, a cominciare dal principio della sua attività creativa. Preso atto che non ha alimentato vanamente la propria esistenza con più interessi: dipingendo, cantando jazz, sperimentando innamoramenti, generando due figlie.
Le sue opere dovrebbero essere, perciò, osservate come gemmazione del suo vissuto: resumèe di esperienze esistenziali (emozionali) e sperimentazioni pittoriche (formali) metabolizzate durante i 25 anni trascorsi dalla sua prima esposizione personale datata 1982. Ci risulteranno, così, dotate di una maggiore carica simbolica e agiranno in una più vasta area metaforica: risultandoci concepite, gestite e magistralmente eseguite fantasticando esistenzialità artistica alternativa e più gratificante.
Ciò premesso, sarà più agevole decriptare la loro iconologia, “visitandole” posizionati su più livelli di significazione. Principalmente su due livelli: quello artistico-letterario e quello metaforico.
Posizionati sul livello della significazione artistica-letteraria osserveremo che l’artista in esposizione ha indiscutibilmente “una bella mano” (come suol dirsi !) e che la usa pensando a ciò che ha letto o a ciò che ha vissuto, e a come ri-narrare o rivivere raffigurando il proprio pensiero, privilegiando la surrealtà più che la realtà e metafisicizzando la fisicità.
Poiché l’ambito poetico in cui è possibile (anche facile) collocarla come pittrice raffinata e sensibile è quello surreale.
Poiché non le è estranea la poetica metafisica che tante radici di pittori surrealisti ha alimentato.
Posizionati sul livello della significazione metaforica osserveremo che Manù privilegia l’oggettistica inanimata, piuttosto che l’antropomorfismo vitale, iconizzando simboli, emblemi e simulacri di una esistenzialità sonorizzata dal silenzio, più che dalla rumorosità, routinizzata da dinamismi usurati divenuti obsoleti.
Poiché ha dipinto e continua dipingere reali soltanto le cose, connotando d’inverosimiglianza le persone o le figure.
Poiché dà forme e colori alle proprie emozioni e ai propri sentimenti (anche desideri) tramite le cose che raffigura sempre pulite, poco usate o come nuove.
Poichè nelle sue opere tutto ciò che è vetro è trasparente, tutto ciò che è superficie è lucido, su tutto ciò che è liquido non galleggia alcun rifiuto, e l’erba dei suoi prati non rivela tracce di calpestio.
Manù appartiene indiscutibilmente alla categoria degli individui di talento, “teorizzati e schematizzati” dall’ungherese Géza Révész nel suo libro “Talento e Genio” (Garzanti 1956), perché la sua personalità artistica è costituita dalle seguenti qualità: ricchezza di esperienze interiori, fantasia artistica, originalità nella rappresentazione, aspirazione all’optimum in ogni opera finita, costante sviluppo e arricchimento dell’espressione. Qualità che personalmente le ho riconosciuto a cominciare dalla scrittura del mio primo testo esegetico per la sua prima esposizione, riconoscendogliele anche in numerose occasioni successive. Particolarmente allorchè ho scritto: Manù ha aperto uno squarcio nella siepe al di là della quale si celava il suo infinito creativo e vi si è introdotta come Alice decisa a godersi fino in fondo l’avventura artistica, costi quel che costi.
Il 2007 sarebbe stato l’anno anniversario d’argento per il nostro rapporto, se tale rapporto avesse assunto subito connotati sentimentali, anziché intellettuali. Il mio augurio è che sia comunque un anno anniversario, e che questa esposizione dia inizio a un rapporto di Manù con l’attività pittorica e il macro universo dell’artisticità sempre più appagante e totale.
(Le opere da più vicino. Manù con Enzo Rossi-Ròiss a Verona in un cortile del Palazzo Forti. L’interno dell’ex chiesetta San Marco a Marostica/Vicenza con le opere di Manù in esposizione. CLICCA SULLE IMMAGINI PER INGRANDIRLE)