Enzo Rossi-Roiss

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LA PITTRICE LOLITA TIMOFEEVA

HA PAURA DI GOOGLE COME I CINESI

Lolita Timofeeva ha paura di Google come i cinesi: lo esplora e scandaglia ogni giorno in cerca dei link che la riguardano come pittrice lettone italiana russofona, sempre meno esposta e celebrata dal cosiddetto „sistema dell’arte“ (gallerie, fiere, locations museali, case d’asta, editoria e magazine settoriali). Pronta full-time a scrivere lettere per intimare a Aruba SPA, Word Press, Facebook et similia la rimozione di ciò che disapprova, perchè le risulta disagiografico e disagiante. Particolarmente e specificatamente (anche esclusivamente!) ciò che risulta webizzato da me, Enzo Rossi-Roiss: il suo ex proto-esegeta e proto-promotor multiruolato in tutt’altra promozione (poi) affaccendatomi.
Non ha ancora indirizzato alcuna mail a Eric Schmid, chief executive di Google domiciliato negli USA, ma lo farà appena considererà opportuno (necessario) fare ciò: sponte sua,  oppure consigliata dall’avvocato Lavinia Savini che l’assiste per quanto riguarda la tutela del suo „buon nome“ con copyright.
Io, però, non sono scrittore facile da intimidire, nè blogger disponibile ad autocensurarmi come opinionista critico, in dimestichezza col giornalismo legittimato dalla legislazione che tutela la libertà di espressione del pensiero personale e la notiziazione con commento e illustrazioni di fatti e accadimenti incontrovertibili.
Rebus sic stantibus, perciò, la Timofeeva prenda atto che si autodanneggia, persistendo nella scrittura di mail finalizzate a ottenere la rimozione di ciò che scrivo e illustro in websiti e blog, per notiziarla come ex star di performance espositive „clamorose“, artista eclettica in età antaizzata poco massmediatizzata, creatrice di opere connotate dal nomadismo sia formale sia contenutistico, con sempre meno esposizioni „clamorose“  curriculabili a cominciare dal 2005: docet il webizzato nel suo sito personale  www.lolitatimofeeva.it
(già postato nel Blog www.lampisterie.ilcannocchiale.it e come NOTA in Facebook)

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DEL MIO RITRATTO DIPINTO DA LOLITA TIMOFEEVA

DIVENUTO ICONA RICORRENTE NEI BLOG DEI MIEI DIFFAMATORI

Oscar Wilde ha scritto: “Ogni ritratto dipinto con passione è il ritratto dell’artista, non del modello. Il modello non è che il pretesto, l’occasione. Non è lui che viene rivelato dal pittore che, sulla tela dipinta, rivela se stesso”.
Sottoscrivo ciò, ovviamente: supportandolo con ciò che ha scritto Umberto Galimberti  che  riassumo  succintamente assemblato.
Il pittore autore di un ritratto non ha eseguito  la sua opera catturando l’anima di chi risulta rappresentato, come comunemente si crede, ma la sua relazione in atto col ritrattato nel  momento esecutivo, il suo amore, il suo odio, la sua indifferenza, la sua insignificanza, in una parola la qualità della “passione” di chi ritrae più che di chi è ritrattato. Dipingendo e raffigurando un incontro, una relazione, un confronto che, attentamente guardato e scrutato, lascia trasparire la relazione intercorsa  tra il pittore e il rappresentato, col suo carico di sentimenti.
Perciò ogni ritratto, oltre a ritrarre chi vi risulta rappresentato, ritrae anche il pittore che lo ha dipinto, tradendo la fedeltà al modello, per incrociare e ritrarre i sentimenti che il personaggio rappresentato ha suscitato nell’artista e che, a posteriori, suscita diversamente motivato in ognuno di noi nel momento  in cui lo“guardiamo”.

Published by admin, on gennaio 26th, 2010 at 4:11 pm. Filled under: Enzo Rossi-Ròiss37 Comments

DELLA "PRIAPEIDE VETROSA" DI ILZE JAUNBERGA

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REALIZZATA A MURANO PER LA BERENGO COLLECTION
EVENTO DI "CARNASCIAL ART ESCA 2010" A VENEZIA

Molti dei visitatori Della expo “Priapeide Vetrosa”, allestita nella sede della Berengo Collection a Venezia (San Marco 412/413), in concomitanza col Carnevale 2010 e col patrocinio della Compagnia De Calza “I Antichi”, coglieranno l’occasione per improvvisarsi poeti priapei, oppure per dissertare intorno alla carica simbolica del flauto diritto o dolce che da sempre simbolizza il fallo nell’immaginario erotico: particolarmente quando risulta suonato da flautiste che rammemorano i tempi antichi romani, durante i quali suonare con arte il flauto ha sottinteso praticare con arte la fellatio come le “ambubaie” siriane, rappresentando una categoria di prostitute signorili e ballerine raffinate (docet Petronio col suo Satyricon: Quid enim, inquit, ambubaia non me misit?). Tanto che nell’odierno dialetto romanesco, l’espressione “suona stò ciufolo” sta a designare la medesima pratica erotica, poiché il “ciufolo” da suonare è il “ciufolo a pelle”, ovvero il membro maschile. Derivando i risvolti erotici del flauto anche dalla pratica e dall’insegnamento dello strumento, con l’implicazione dello studio della cavità orale e dell’esercizio della lingua ( i così detti “colpi di lingua”), con tutto ciò che ne consegue nell’immaginario erotico maschile…soprattutto.
I più eruditi improvviseranno dialoghi licenziosi, del genere fescennino antico, con riferimenti alla “Dionisie”, le feste annuali celebrate nell’antica Grecia in onore di Dioniso (dio del vino) e di Hybris (l’ebbrezza smisurata): feste durante le quali, in città come in campagna, si formavano lunghi cortei, detti “Falloforie”, all’interno dei quali ogni famiglia brandiva un fallo e mo’ di cero, scambiando motteggi osceni rituali e cantando canzoni falliche e inni licenziosi. Tra le più famose le feste della città dorica di Sicione. Del testo di una canzone è noto questo frammento: “Ritiratevi, fate posto / al dio! Perché egli vuole / enorme, retto, turgido, / procedere nel mezzo”.
Sapendo che ad Atene, le principali feste di Dionisio erano le “Lenee”, nel mese di Gamelione (dicembre-gennaio) e le grandi Dionisie nel mese di Elafebolione (febbraio-marzo). E che in ciascuna di queste occasioni, nei tre giorni successivi alla cerimonia si svolgevano rappresentazioni drammatiche.
Aristofane, negli “Acarnesi”, teatralizza Diceopoli che va alle Dionisie con la moglie, la figlia in qualità di canefora (portatrice sul capo di un canestro con gli strumenti del sacrificio) e due schiavi che portano il fallo. “Xantia, voi due dovete tenere il fallo ritto dietro la canefora: io seguirò cantando l’inno fallico…Avanti”, dice Deceopoli. (Negli scritti di Aristofane il fallo è nomato cece, chicco d’orzo, chiodo, toro).
Ai visitatori giapponesi, le scarpe in vetro di Murano, creazioni di Ilze Jaunberga calzate da piedi fallomorfi di cristallo trasparente, rammemoreranno le Falloforie di Komaki a sud di Tokio dove hanno nome “Hounen Maturi”, celebrate il 15 marzo di ogni anno: con sciamannati d’ambo i sessi euforizzati dal sakè, nel ruolo di portatori di sculture legnose fallomorfe (ex-voto) di ogni peso e dimensione (3 quintali la più pesante, ricavata da un tronco di cedro), all’antico santuario di Tagata. (
http://www.youtube.com/watch?v=eXh3UUwn1_I&feature=fvw)
Ai conoscitori informati di ciò che si può creare modellando artisticamente la materia vetrosa, infine (finalmente!), e ai collezionisti di sculture in vetro che non raffigurano, diversamente dimensionato e colorato, il solito abbraccio frontale di amanti in piedi e la stereotipia varia decorativa, modellata per clienti turisti massificati, “Priapeide Vetrosa” risulterà meritevole di essere esaminata cominciando con l’accertamento delle dimensioni dell’area metaforica nelle quale fare esplodere la carica simbolica delle opere che la costituiscono.
Approcciando, così, ognuna delle sculture dell’artista lettone come oggetto materiale scultoreo dotato di pertinenze estetiche, degno di essere esaminato da estetologi più che da pseudo e simil esegeti maldicenti.
Perché di “Priapeide Vetrosa” si parli e si scriva con cognizione di causa…come suol dirsi!

Published by admin, on gennaio 26th, 2010 at 4:11 pm. Filled under: Enzo Rossi-Ròiss2 Comments

DI CARLA LEONELLI VULVOICONOLOGA

 

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Ne ha modellate abbastanza. Possono essere collettivizzate singolarmente oppure esposte in toto come calchi memoriali e memorabili. Ognuna uguale a se stessa e diversa da ogni altra. Dischiuse, aperte, spalancate. Con inclusioni materiche “autre” sopra, dentro, fuori, attraverso.
Possono essere installate sulle pareti di una galleria d’arte una accanto all’altra, oppure di seguito come fotogrammi di una pellicola cinematografica.
Nel momento in cui sono stato invitato a visionarle, mi è stato detto subito che dovevo prenderle in considerazione come opere d’arte plastica modellate da mani di donna. Per impedirmi di supporre come Artefice un uomo e di pensarlo emulo di Giacomo Casanova, collezionista d’innamoramenti e rapporti intimi subitanei con ciò che distingue la donna dall’uomo inequivocabilmente.
Non sono tavolette assiro-babilonesi, illustrazioni millenarie per poemi erotici mesopotamici, ma due versi del “Gilgamesh” li ho immediatamente ricordati appena le ho viste nella casa atelier della loro creatrice la bolognese Carla Leonelli. Li trascrivo “pour les amateurs”: Oh mio Ishullanu fammi godere della tua virilità,  /  stendi la tua mano, portala alla mia vulva.
Perché di vulve si tratta, in alto e basso rilievo su tavolette d’argilla. Una collezione di vulve della quali Apollinaire redivivo distinguerebbe i più sottili viticci del vello e li canterebbe, decantandoli come quelli di Madeleine, presenti come rilievi e graffiti.
Si tratta di vulve che nelle narrazioni del cinese Li Yu (1611 – 1680) sono grotte nelle quali è possibile praticare il gioco del vento e della luna per procurare l’indicibile piacere della nuvola che scoppia.
Si tratta di aperture attraverso le quali l’uomo può introdursi nei castelli della goduria panica che non fa incanutire prematuramente e dove è consentito ringiovanire durante più anni della propria vita.
“Ci si perde, ci s’inabissa, ci si annienta nell’esaminare una vulva quando è graziosa, si vorrebbe non essere altro che un fallo per poter farsi inghiottire”, ha scritto Henry Miller.
Si tratta di avvallamenti coperti da rada erbetta o fitti cespugli.
Si tratta di labbra per il suono di strumenti ancialati.
Si tratta di solchi tracciati tra cosce nei quali possiamo seminarci e germogliare.
Si tratta di crateri che possiamo fare eruttare.
Si tratta di panieri donneschi nei quali l’uomo può radunare tutta la sua mascolinità.

Published by admin, on gennaio 2nd, 2010 at 8:17 pm. Filled under: Enzo Rossi-Ròiss1 Comment