L’ELEFANTICIDIO COMPIUTO IN UNA CHIESA A VENEZIA IL 16 MARZO 1819
esercizio scrittorio
pro narrazione di un accadimento eccezionale
Premessa Autorale
La narrazione che segue questa “Premessa” è un esercizio di stile scrittorio compiuto nel ruolo di un finto cronista veneziano del giorno dopo, con presunte doti di preveggenza che gli consentono di anticipare accadimenti successivi e reperti iconografici e bibliografici meritevoli di essere repertorizzati. Risulti dilettevole la lettura e sorprendente la documentazione.
A Venezia è stato cannoneggiato e ucciso dalla gendarmeria austriaca un elefante indiano cinquantenne (che 200 anni dopo risulterà quindicenne, massimo ventenne, invece!), ammaestrato con imput lessicali in lingua francese, alto 7 piedi e mezzo, pesante 4622 libbre grosse venete (2.203,4 kg), nella Chiesa Sant’Antonin alle ore otto e quattro minuti antimeridiani del 16 marzo 1819, giorno quaresimale. Durante i giorni del carnevale, conclusosi il 23 febbraio, è stato mostrato in apposito casotto, con altri animali esotici in altri casotti, sbarcato sulla Riva degli Schiavoni nel Sestiere Castello dal “mostratore” svedese Claudio Garnier (originario di Gauter Corout), tra il Ponte del Sepolcro e il Ponte della Cà di Dio.
E’ stato ucciso per impedirgli di causare danni alle cose e alle persone, maggiori dei danni già causati rifiutandosi a ogni tentativo d’imbarco, uccidendo il suo giovane custode Camillo Rosa di Rovigo e travolgendo di tutto durante la fuga fino alla chiesa, inseguito e bersagliato dalle fucilate dei gendarmi.
Venti uomini armati di funi e di leve hanno imbarcato e trasportato la sua carcassa al Lido, coperta da stuoie su una chiatta, alle ore 5 pomeridiane con l’ordine di seppellirla. Un contrordine del Commissariato Speriore l’ha fatta, poi, traslocare due ore dopo sull’Isola della Giudecca nella chiesa dismessa di San Biagio (usata come ospedale per le malattie contagiose nel 1814-1816 e destinata alla demolizione per favorire nel 1882 la edificazione del Molino Stucky): dove sarà mantenuta pulita con lavacri continui di acqua salata, per essere sezionata e studiata dal Prof. Stefano Andrea Renier, aiutato dal Dott. Paolo Zannini marito di Adriana Renier. Con l’intento di salvaguardare e ricomporre le ossa del suo scheletro che sarà esposto nella Pubblica Galleria di Storia Naturale (non ancora Museo Zoologico) della Università di Padova.
Il Renier e la sua equipe daranno inizio ai lavori di concia della pelle e sezionamento del cadavere il 24 marzo, eseguendo molti schizzi e disegni delle diverse parti anatomiche e delle ossa, per poterlo rimontare poi correttamente. La conclusione di tali lavori è prevista per l’autunno, destinata ad essere considerata dai posteri impresa epica e memorabile.
Claudio Garnier ha riferito di avere acquistato l’elefante per 20.000 franchi (30.088 lire venete) dagli eredi del duca tedesco Federico di Wurstemberg, divenuto Re nel 1806 e morto sessantaduenne il 30 ottobre 1816: monarca di un Regno Breve… perciò. L’avrebbe condotto e “mostrato” a Milano, fosse riuscito a imbarcarlo. Meditando su una richiesta d’acquisto dell’Accademia di Berlino, alla quale aveva comunicato di essere disposto a venderlo per 1.200 luigi d’oro (equivalenti a 55.231,3 lire venete). Il pachiderma si è ribellato all’imbarco, perché reso inquieto da evidenti pulsioni sessuali primaverili irreprimibili e dopo ripetuti tentativi d’imbarco falliti, causa non ultima l’instabilità della passerella collegata al barcone predisposto all’uopo. La sua ribellione l’ha manifestata uccidendo il suo giovane custode, dopo averlo aggredito con la proboscide un’ora dopo la mezzanotte, terrorizzando gli astanti sulla riva e causando il ribaltamento in acqua di altri in piedi sopra un battello.
La gendarmeria austriaca presente, comandata dal Commissario Tolomei, ha reagito sparandogli addosso tante pallottole da spingerlo a correre terrorizzato di qua e di là sulla riva tra i due ponti, dove ha travolto alcuni casotti predisposti per altri animali e il chiosco di un fruttivendolo, sfondando anche una caffetteria, prima d’inoltrarsi nella Calle del Dose dove ha avuto inizio il percorso che lo ha condotto nella chiesa luogo della sua esecuzione sommaria.
In Campo della Bragora è stato bersagliato dai gendarmi austriaci con particolare accanimento, costringendolo a infilarsi nella Salizada del Pignater e poi nella Calle morta del Forno Vecchio, dove si è ritrovato nella corte di un’abitazione privata, con pozzo di marmo e scala di legno che ha danneggiato stramazzando al suolo, tanto da farsi supporre colpito a morte. Invece si è rialzato e ha ripreso la corsa, dopo aver terrorizzato una vedova con quattro figli già nei letti in una camera con l’affaccio nella calle, data l’ora oramai notturna: prima di percorrere la Salizada Sant’Antonin fino al ponte che non è riuscito a superare, incalzato da fucilieri inefficienti.
Un ultimo tentativo di salire sul Ponte Sant’Antonin lo ha concluso rinculando fino a colpire e sfondare il portone d’ingresso della chiesa dove si è introdotto e mosso nel buio, col risultato finale d’infrangere quattro lastre tombali e immobilizzarsi nel loro vuoto sottostante, dopo aver rotto la colonna piedistallo dell’acquasantiera e fracassato alcune panche.
Per la sua esecuzione sommaria nella chiesa mediante l’uso del cannone sono state necessarie le autorizzazioni delle Autorità Civili e Militari, unitamente all’assenso dell’anziano Patriarca Francesco Maria Milesi (76 anni ani) destato quattro ore dopo la mezzanotte.
Il cannone è stato fornito alle ore 7 antimeridiane dal presidio militare insediato all’Arsenale con l’artificiere e i serventi che lo hanno collocato con la bocca di fuoco inserita in un buco praticato ad hoc nel muro laterale della chiesa, prima di sparare due colpi alle ore 8. Una soltanto delle due cannonate, però, ha colpito l’animale perforandogli il deretano con una palla tanto da farlo stramazzare al suolo e morire dissanguato.
Il Prof. Stefano Andrea Renier, ordinario di storia naturale, si è attivato immediatamente il 17 marzo perché la carcassa del pachiderma sia acquistata dal governo veneziano per essere studiata e conservata (convenientemente trattata per la bisogna) nella Galleria di Storia Naturale della Università di Padova.
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Scritto ciò per dovere di cronaca, è possibile, ora, continuare a scrivere per anticipare che tutto quanto è accaduto sarà variamente descritto in alcune relazioni gazzettiere che saranno stampate e vendute pubblicamente, con e senza illustrazioni. E che il Renier riuscirà a ottenere l’acquisto dell’elefante cannoneggiato: spendendo 2.080 lire venete per l’acquisto, più 3.064,32 per la conciatura e montatura della pelle, la imbiancatura e riduzione dello scheletro e la conservazione dei visceri. Operando, successivamente, coadiuvato da una equipe della quale faranno parte Girolamo Molin e Paolo Tannini.
Al termine dei lavori di studio e conservazione, in una lettera al Rettore dell’Università di Padova Antonio Marsand, il Renier scriverà: “Con compiacenza lo trovai in discreto stato, con la pelle che ad onta di aver avuto più di cinquecento fucilate non aveva che otto dieci forellini e la cannonata ricevuta fu nel deretano e la palla gli rimase dentro, quindi la pelle in ottimissimo stato”.
Le casse contenenti le spoglie dell’elefante sezionate e schedate saranno portate a Padova per via d’acqua il 24 marzo.
Saranno pubblicati e divulgati due poemi intitolati “Elefanteide” (Pietro Buratti) in ottava rima dialettale e “L’elefanticidio” (Pietro Bonmartini) in lingua italiana, destinati ad essere bibliotecati dalla Marciana: più un testo teatrale in dialetto veneto intitolato “I curiosi accidenti occasionati dall’Ellefante in Venezia nel 1819, con farsa“ (Niccolò Zanon) che sarà messo in scena il 2 marzo 1821 (una tantum), con annuncio nella Gazzetta Privilegiata di Venezia, dalla Comica Compagnia Luigi Favre e Piomarta, “…fra un gran romore di fischi”, al Teatro S. Luca (prima che sia ri-nomato Teatro Apollo e poi Teatro Goldoni nel 1875).
La proposta della posa di una lapide con epigrafe latina (sul muro della chiesa), resa pubblica dal protocollista al tribunale, anche diarista cittadino, Emanuele Antonio Cicogna (1789-1868), a ricordo dell’elefante cannoneggiato e finanziata dai gentiluomini Angelo Fucci Gradenigo e Francesco Cattaneo, sarà respinta il 18 settembre 1819 dalle Autorità al potere, malgrado la non ostilità al potere austriaco dei proponenti. Il conte Benedetto Valmarana la riceverà in dono e la collocherà sul muro nel giardino del suo palazzo in SS. Apostoli (Cannareggio 4392) destinandola a sopravvivergli corrosa dal salso, con una “Memoria” in bottiglia sigillata con ceralacca murata sul retro.
Sarà re-intitolata Osteria dell’Elefante una osteria diversamente titolata, insediata in locali contigui alla chiesa (Castello 3495).
Ferdinando Gumppenberg, stampatore milanese di origine tedesca, rinnovatore dell’antica tradizione dei tarocchi lombardi, lo raffigurerà nell’arcano n. 21 (il Mondo) del mazzo “Mestieri e Vedute” edizione 1820.
Alcuni illustratori lo iconizzeranno in disegni, incisioni e medaglie, variamente sceneggiato. A futura memoria di chi deciderà di ricordarlo e rievocarlo con testi scritti e opere visive, anche a distanza di due secoli, in concomitanza col Carnevale di Venezia 2011 a cura di un mio omologo.
Con lo scheletro restaurato pezzo dopo pezzo, e rimontato nel 2004, dopo essere stato smontato nel 1979, per la sua sistemazione e custodia definitiva nel Museo di Zoologia della Università di Padova, rispettando il lavoro che sarà compiuto dal Renier con i suoi collaboratori.