“Era il 1866 – ai tempi del dominio austriaco – quando un elefante africano, scappato da un serraglio, si inoltrò terrorizzato per campi e calli fracassando il tutto, fino a infilarsi in un portone abbastanza grande per lui: quello della chiesa di Sant’Antonin. I soldati austriaci lo presero a schioppettate: niente. Ma poi una pietra tombale franò sotto il peso del pachiderma, che rimase intrappolato. Si riuscì a farlo fuori a colpi di cannonate”.
Scritto così, tale e quale a pag.81 ne Il Venerdì di Repubblica (1249, 24 febbraio 2012) da Antonella Barina, per notiziare un libro di Alberto Toso Fei, intitolato “I misteri di Venezia” edito da Studio LT2.
Trattasi di un “Mistero” veneziano del quale ogni arcano risulta svelato e bibliografato da gran tempo, ampiamente webizzato… per giunta. In Google è sufficiente scrivere “L’elefanticidio” e poi cliccare per disporre di numerosi link informativi con illustrazioni… anche. Ma l’Alberto Toso Fei non ha pensato di fare ciò, e la giornalista Antonella Barina si è limitata a leggere qua e là un libro ricevuto in dono.
Qui di seguito considero opportuno, perciò, trascrivere i primi due paragrafi di un lungo testo per esemplificare il pressappochismo scrittorio del duo Toso Fei – Barina
A Venezia è stato cannoneggiato e ucciso dalla gendarmeria austriaca un elefante indiano cinquantenne (che 200 anni dopo risulterà quindicenne, massimo ventenne, invece!), ammaestrato con imput lessicali in lingua francese, alto 7 piedi e mezzo, pesante 4622 libbre grosse venete (2.203,4 kg), nella Chiesa Sant’Antonin alle ore otto e quattro minuti antimeridiani del 16 marzo 1819, giorno quaresimale. Durante i giorni del carnevale, conclusosi il 23 febbraio, è stato mostrato in apposito casotto, con altri animali esotici in altri casotti, sbarcato sulla Riva degli Schiavoni nel Sestiere Castello dal “mostratore” svedese Claudio Garnier (originario di Gauter Corout), tra il Ponte del Sepolcro e il Ponte della Cà di Dio.
E’ stato ucciso per impedirgli di causare danni alle cose e alle persone, maggiori dei danni già causati rifiutandosi a ogni tentativo d’imbarco, uccidendo il suo giovane custode Camillo Rosa di Rovigo e travolgendo di tutto durante la fuga fino alla chiesa, inseguito e bersagliato dalle fucilate dei gendarmi.
(Per continuare a leggere, cliccare questo link: http://www.rossiroiss.it/blog/?p=279)
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