Una “Epistola sui poeti” di Gianni Celati: mentore scribente nel 1975 dei miei “Poemi Doping” edizione d’artista (90 esemplari) con incisioni del giapponese Tomonori Toyofuku.
Fotoritratto di Mario Rebeschini
Caro Ròiss, ho letto i Poemi Doping e adesso ti scrivo cosa ne penso. Cominciamo dal fatto del doping. Magari uno po’ raffinato potrebbe venirti a dire che è un gesto sensational voler far credere alla gente che ci sia un rapporto tra queste poesie e il drogarsi. Io per me penso a tutti gli americani, francesi, olandesi, italiani, mezzosangue e apolidi che ho visti drogati. Tutti me la volevano contare. Tutti mi volevano convincere che loro hanno visto qualcosa: cioè poi sempre la Verità. Io non capisco perché, se a uno gli gira il cervello, se gli viene un convulso, se si imbriaca, se gli sembra di volare e di vederci doppio, questa debba essere la Verità. Per me è tutto il contrario, è finalmente l’onesta e giusta falsificazione della Verità.
Dunque, a tirar le somme, la tua falsificazione sensational è abbastanza giusta: queste sono parole da imbriaco. E siccome il motto deve essere “Falsifichiamo il pensiero traditore”, allora anche tu hai la tua parte nell’opera comune di falsificazione per il progresso dell’umanità. E non lo dico per alludere poi al fatto che non si dovrebbe falsificare. Mi dirai: “C’è falsificazione e falsificazione”. No. I veri falsari sono così, come te che vai a tirar fuori delle cose di sentimento, di protesta, di amore e odio, di libertà, ma tanto per fare, per cantargliela un po’ su alla gente. Io non credo neanche a quel “Prologo” su un eroe suicida del nostro tempo, che avrebbe vissuto la vita come esperienza del limite. E’ un buon trucco però, retoricamente parlando, per catturare il bolso lettore.
C’è nella prima parte del libro una serie di poesie, come dispositivi di cattura, dove si parla tra il patetico e il profetico, citando maschere ben note come la Vita, il Dolore, la Morte, Ad un certo punto sbuca fuori anche quell’altro mascherone da commedia che si chiama l’Uomo. E tu gli parli come se sentisse, il sordomuto!
Nella seconda parte ci sono delle specie di storielle che personalmente mi catturano di più. Storie di un’auto parcheggiata, di un sogno, di un processo in tribunale abbastanza buffo, dell’inaugurazione di una mostra d’arte moderna.
Queste seconde definiscono meglio la tua posizione. In particolare quella sulla mostra d’arte, dove tu ti metti in un angolo come osservatore: ma vuol dire soltanto che non t’identifichi, non ti trovi, non sei riconosciuto come uno della Cricca della Grande Arte. Va bene. E’ questo il punto. Chi è dentro alla Grande Arte, quella che ha l’appalto della Verità, non può mai mettersi in un angolo a mugugnare come fai te: deve prendere posizione, dare giudizi furbi, dire pipì e pipà, insomma mostrarsi all’altezza della situazione. Ma sempre in modo rigoroso, non alla carlona come fai te.
E arrivo, dunque, a quello che volevo dirti.
C’è, mettiamo (A) la Grande Poesia che prima o dopo si insegna sempre a scuola. Quella lì è bolsa per origine, progenitura e destinazione, perché fatta da gente che non si è mai imbarcata, che crede di essere nel giusto, e che parla ad altra gente che si crede nel giusto.Gente che pensa che ad ogni rutto le venga fuori dalla bocca un pezzo di Verità. Questa è la Grande Poesia, che ha come caratteristica prima di essere insopportabile.
C’è poi (B) la Poesia Media, fatta da gente non tanto sicura di sé, mezzi sfigati,nevrotici integrali, che vorrebbero dire qualcosa al mondo perché gli altri si accorgano che ci sono anche loro. Per giustificare cioè la loro ( e di tutti) ingiustificabile presenza nel mondo. Questi sono dei timidi, un po’ fessi, poeti gentili li chiamano, per la più intimisti, ermetisti, coscienziosi, produttori di poemi minuscoli e sospiranti. E gente che non pensa proprio di dire la Verità, a loro interessa solo dire questo: “Ohè ascoltatemi!”. E poi, qualunque cosa gli viene in bocca, la mettono giù. Per esempio: pioviggine salmastra incrostata / ciglia pesanti scrutano sul mare un orizzonte tenuo / e segni sulla sabbia si smarriscono al primo vento / come una soglia da varcare / perduta (*). La Poesia Media è roba così, piace molto ai liceali. Parla sempre d’una Verità che gli è scappata via di mano (perché la Verità è solo della Grande Poesia). Carattere principale della Poesia Media non è l’insopportabilità, ma l’incomprensibilità dell’ebete sognante.
Infine c’è (C) la Piccola Poesia, fatta da gente più sicura di sé, gente che non si aspetta tanto dagli altri, che gli basta di poter fare un po’ di recitazione casalinga ogni tanto, imitando i Grandi Poeti. Questa è una poesia che di solito non si pubblica, che resta nei cassetti dei quarantenni, che va in giro per edizioni private. E’ ancora sotto il sottobosco poetico, perchè il sottobosco poetico è fatto dalla Poesia Media. Conosco poesie di operai che ho sentito esaltare come nuova letteratura: erano raffazzonamenti di echi di qualche Grande Poeta, con le solite metafore del Sole che spunta, della Terra che accoglie, del Mare che è grande e della Libertà che dovrebbero avercela tutti. Sono cose che al fine conoscitore gli fanno storcere il labbro, perché non hanno praticamente alcun valore di scambio: sono lì, ma il fine conoscitore non oserebbe mai proporle come una sua scoperta. Magari per qualche circostanza succede che il Piccolo Poeta si trovi in una posizione rappresentativa, e allora i suoi versi diventano famosi, come (poniamo) quelli di Mao e Ho Ci Min.
Io dichiaro di propendere per questo tipo di poesia. Non perché sia la Vera Poesia, e neanche perché sia la vera-Vera Poesia del basso e degli umili, che ha più verità in sé della Grande Poesia raffinata. Ma perché è un raffazzonamento incongruente di ciò che le Cime credono siano rutti di Verità. Così gliela scassano tutta la loro Verità, e anche la loro Poesia. Gli fanno intendere che in fondo in fondo si tratta sempre di robe trite da metter giù come tira il vento.
I Piccoli Poeti lo sanno bene che i Grandi Poeti sono una panzana, lo sanno perché li imitano di nascosto e a tratti si sentono come loro: cioè nullità. Ma non ci fanno caso, tirano dritto a scriversi le loro cose, perché i Piccoli Poeti impostori sono gente che pensa ad altro, che si guadagna il pane in altro modo, che non sta mica sempre a pensare alla poesia. Ogni tanto si mette lì e viene fuori quello che viene fuori, cioè stereotipi. Proprio come le poesie di Mao.
I tuoi poemi, secondo me, rientrano in questo terzo stato, e perciò mi sono letto tutto il libro. Qualcuno può immaginarsi che a dire così io faccio il furbo, per dirti in un modo garbato che scrivi roba da poco. Allora a costui gli spiego la questione.
Se un intervistatore della TV svizzera mi venisse a chiedere: “Bè allora, ma dunque lei non salva nessuno?”. Risponderei: “E chi deve salvarsi? Mettiamo il caso del Grande Poeta che ha successo, che tutti lo considerano un genio del suo tempo e lo leggono anche i bambini delle scuole medie. Si salva lui? Povero infelice più degli altri, è incastrato, non gli resta tempo per fare altro che avere successo. Deve render bene per non sfigurare col padrone, darci dentro come un matto, mettersi sempre in posa da profondo, farsi il culo quadro, leccare e ruffianarsi mezzo mondo, star sempre lì con la testa che pensa: Successo! Successo!”.
Perché amico Ròiss è li la questione: che si giudica e si valuta per forza le cose dell’ARTE in termini di capitalizzazione, investimento, rendimento, profitto. E d’altronde non vedo un altro modo per giudicarle e valutarle, se è roba che si vende. E non credo nemmeno che ci sia qualcosa di più profondo, di più vero, che la valutazione economica non può comprendere. Ci sono magari altre cose, che non hanno niente a che fare con la poesia, cose che non si vendono, né meglio né peggio, né più vere né più sincere. Ma i cosiddetti valori poetici sono calcoli economici per un investimento ed una capitalizzazione. Infatti la gente dice di uno che non ha successo: “Quello è un fallito!”. Vedi dunque che si tratta sempre d’investimenti e di capitalizzazioni riuscite o mancate? La salvezza per la gente che mette il problema in termini di salvezza è solo una questione economica, stringi stringi. Dato che se parliamo di altre salvezze, non vedo chi le possa avere o chi se le possa dare, di cosa si stia parlando: La salvezza dell’anima? La rinascita della carne? Evitare la putrefazione della vecchiaia? Il mal di denti?
Il Piccolo Poeta per me è meglio, perché fa altre cose, è più simpatico, s’investe sparsamente, non è sempre lì con quella fissa, è un bricoleur che ogni tanto fa anche poesie, ogni tanto si mette in maschera. Magari in certi momenti gli viene la malinconia, e allora scrive: Oh malinconia della vita / questo errare transumante dalle fogne ai fossi / che quando il gallo canto è già finita (**). Ottimi versi che gli sputtanano la loro Grande Poesia, che fanno vedere che avendo la voglia son poeti tutti, che mettono insieme delle cose a cavolo, basta che ci sia una rima. E poi che fan vedere che tutti questi famosi sentimenti della poesia non sono altro che la strizza al culo per il pensiero della morte. Anche questo è roba che hanno tutti e non c’è bisogno d’essere Grandi Poeti per avercelo, non c’è bisogno di far tanto i preziosi o i profondi o i sensibili superiori. Invece quelli là ci fanno sopra dei castelli, dicono Poesia qua e Poesia là, grande poesia, poesia volgare, poesia mancata, insufficiente, bocciata. Ma che se la tengano la loro Grande Poesia e s’impicchino! (“Epistola sui poeti”, datata Bologna 27 settembre 1975, pubblicata nell’edizione “Poemi Doping” numerata in 90 esemplari con due acqueforti fuori testo dello scultore giapponese Tomonori Toyofuku, Edizioni Svolta 1975)
NOTE – (*) Poeta medio dimenticato (celebre?) / (**) Piccolo poeta inesistente (non registrato!)