Enzo Rossi-Roiss

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DELLA TIMOFEEVA BIENNALIZZATA A MOSCA IN UNA BIBLIOTECA

MEMENTO 25 settembre 2011
DELLA TIMOFEEVA BIENNALIZZATA A MOSCA
IN UNA BIBLIOTECA NOMATA “MIRudonimo VGBIL”

Un progetto espositivo speciale per la IV Biennale di Mosca (23 settembre – 16 ottobre 2011) è stato concepito da Maurizio Vanni,  insediato nella MIRudomino All-Russia Biblioteca di Stato per la Letteratura straniera (VGBIL vgbil@libfl.ru), protagonisti gli artisti Francesco Attolini, Christian Balzano e Lolita Timofeeva. Una location estranea e marginale al circuito moscovita che reddita e accredita chi si attiva professionalmente promuovendo e commercializzando opere d’arte: già utilizzata dalla Timofeeva nel 2004 per esporre alcune opere del ciclo “Anatomia di Firenze”. Le nuove opere della pittrice lettone italiana russofona (nata a Riga nel 1964, cittadina italiana dal 1991) risultano insiemizzate dal titolo “Opus Alchymicum”, tutte riprodotte in una pubblicazione monografica edita da Allemandi con un testo critico di Arturo Schwarz (nato nel 1924). Sono accreditate come opere di un’artista che: “ Nel 1997 ha rappresentato la Lettonia  con una mostra personale nella XLVII Biennale di Venezia”: disapprovata e misconosciuta da Helena Damakova e Solvita Krese, perchè curricultata come nel link: http://www.italo-baltica.it/wordpress/lolita-timofeeva-2.html (dal mio libro “Mondo lettone made in Italy” – QuattroVenti Edizioni Urbino).

1991, non ancora stabilmente bionda, nel giorno del matrimonio col lucano Emanuele Noviello

1991, non ancora  tettoruta stabilmente bionda, nel giorno del matrimonio
col metalmeccanico lucano Emanuele Noviello a Monterenzio in provincia di Bologna

Published by rossiroiss, on settembre 25th, 2016 at 7:39 am. Filled under: Enzo Rossi-RòissCommenti disabilitati

LA MALINCONIA DEI CRUSICH libroGodot di Gianfranco Calligarich

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La malinconia dei Crusich” narrazione/historia familistica con istruzioni per l’uso di Gianfranco Calligarch, rammemorante “La vita istruzioni per l’uso” di Georges Perec esercizio scrittòrio narrativo logotipabile Ou.Li.Po (Ouvroir de Littérature Potentielle, docet Raymond Queneau & Italo Calvino) per certe ricorrenti costrizioni sia formali sia semantiche. Contiene sufficienti occulte istruzioni per l’uso fiction televisiva a puntate con piani sequenza già ben sceneggiati, oppure per l’uso filmico con durata centottanta minuti e tante riprese on the road sia urbane sia extraurbane eseguite emulando Michael Cimino. On the road a Trieste nei giorni della Bora incattivita, nell’Africa di Mussolini, nella Milano bombardata, nella Roma della Dolce Vita e in ogni altra location deambulata o viaggiata dai Crusich narrati. Da scrivere il dialogato assente nel romanzo libresco.
Così una mia prima sinossi redatta d’amblè.

Molloy – Malone muore – L’innominabile”, la trilogia narrativa datata 1951-1953 che ha fatto vagheggiare al Samuel Beckett l’incontro col successoGodot, la notorietà letteraria, royalty adeguatamente redditive: con al seguito il benessere economico trainato da premiazioni blasonate, senza smettere di desiderare quella del NobelGodot, da “attendere” giorno dopo giorno, fiduciosi individui viventi e scribendi attivi, gratificati da premianti preliminari come il Premio Formentor del millenovecentosessantuno, premio neonato attribuito ex aequo al duo Borges – Beckett.
Così una mia prima annotazione presuntivamente pertinente.

La malinconia dei Crusich”, è un libro cartaceo edito nel duemilasedici da Bompiani, impresa scrittòria compiuta da Gianfranco Calligarich durante quattro anni per narrare vicende famigliari autobiografanti, investigate come altre vicende di altra storia famigliare (Buddenbrook) narrate da Thomas Mann 26ienne nel millenovecentouno: l’anno d’inizio della historia che ha per protagonisti i Calligarich ricognomati Crusich. Sicuramente il Calligarich ha visionato album fotografici e filmati d’antan: esaminando documenti archiviati e sememizzando oralità testimoniali rammemoranti.
Trattasi, perciò, così di una impresa editoriale che materializza nel vissuto dell’autore un libroGodot con al traino i libri predecessori editati variamente, a cominciare dall’annata millenovecentosettantatre, che saranno rieditati da Bompiani e proposti come scrittura narrativa tutta meritevole di numerosi lettori.

Ciò pensato e così scritto, è possibile a questo punto scrivere che trattasi di letteratura miscellata alla sceneggiatura per film praticata dal Calligarich per redditarsi domiciliato a Roma: considerando l’insieme narrato una microstoricizzazione delle gesta esistenziali e delle relazioni politiche e sociali dei componenti di un gruppo parentale con avo cognomato Crusich, a cominciare dal 1901, ante-intra-post Seconda Grande Guerra Mondiale.
Per quanto mi riguarda considero il libro del Calligarich custodia di una narrazione saporosa e mai disgustosa: della quale consiglio di prelibare il gusto e il retrogusto. Una narrazione esemplare come esercizio scrittòrio eseguito rigorosamente disciplinato da ricorrenti e virtuosistiche costrizioni sia formali sia semantiche.

Come ogni frammento flashbakato progredendo nella scrittura successiva: …ventottesimo della sua lunga vita, sentantunesimo di quella ancora più lunga… etc. (p. 11 e 24) – … un logoro impermeabile bianco che su chiunque altro sarebbe stato una bandiera di resa e su di lui era invece una vela provata dal vento ma lo stesso capace di navigare comunque fossero le condizioni del mare (pp. 206 e 216) – ...con un estraneo in autonoma crescita dentro di lui che non sapeva se accettare o no (p. 241), – concepito da genitori migranti da Trieste a bordo di una nave diretta in Africa, terzogenito partorito durante un Anno Trenta terminale in Eritrea a Asmara, dopo un primogenito nato in Italia dieci anni prima e un secondogenito nato in Italia dodici anni prima.

Come le ricorrenti costrizioni formali e semantiche “NO ad a SI a a”, “NO ed e SI e e”.

Come millenovecentouno anziché 1901, ventottesimo anziché 28°, idem ogni altro anno calendariante, ogni altro …esimo graduatorio e ogni quantità numerata sememizzata.

Come gli aggettivi qualificativi predecessori dei sostantivi qualificati: sabbiosa impassibilità, giallo pallone, polveroso piazzale, leggeri soprabiti, solida determinazione, notturna oscurità, sudati scaricatori, sassose montagne, bianca città, magri e neri buoi, pulito odore, nera ragazza, chiassoso e notturno matrimonio, solitaria visita (pp. 115/129).

Come il lemma “così” incipit, anziché explicit, di numerosi capoversi.
Così loro due seduti
(p. 225). Così lui in quella loro prima lite (p. 225). Così suo nonno sulla poltrona di legno sopra la pedana (p. 227). Così il collaudo ufficiale del grande aereo (p.239).

Così corsificati ho exemplificato alcuni brandelli trascritti del romanzo LA MALINCONIA DEI CRUSICH: narrazione di fatti realmente accaduti e personaggi realmente esistiti, letteratureggiati non per ricordarli ri-cognomati Crusich, ma per non storicizzarli anagrafati Calligarich, destinatari comunque della dedica “… ovunque siano”, accomunati & accumulati dalla cognomazione col medesimo finalino CH croato.
Cosi notiziato & promosso, recensisco il libro di uno scrittore da me in-camerato nella Casa dello Studente a Urbino durante gli ultimi Anni Cinquanta, a cominciare dal millenovecentocinquantasei, anno dell’Ungheria invasa dall’URSS.

Il Piccolo di Trieste lo ha recensito per primo titolando: Calligarich racconta i destini di famiglia in un secolo d’Italia (16 settembre). Tempestivamente divulg-feisbuk-ato: Attendendo Paolo Mauri con “la Repubblica” et omologhi.
Al seguito ogni altra recensione con la rituale sinossi editoriale pierrata, farcita con divagazioni attinenti la cifra narrativa, il virtuosismo stilistico, la tessitura narratologica et altro non sememizzato trasparente celato in filigrana nelle 428 pagine con stra-fitte righe da leggere.

Gianfranco Calligarich è già stato premiato con l’Inedito nel 1973 e il Bagutta nel 2012 (es aequo con Giovanni Mariotti). Si attivi chi può perché sia premiato nel 2017 col Campiello, oppure con lo Strega.

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Per leggere altro cliccare questo link: http://www.calligarichgianfranco.com/index.php?option=com_content&view=featured&Itemid=101

Published by rossiroiss, on settembre 22nd, 2016 at 9:47 am. Filled under: Enzo Rossi-RòissCommenti disabilitati

“L’ULTIMA ESTATE IN CITTA’ ” DI GIANFRANCO CALLIGARICH

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“L’ultima estate in città“ di Gianfranco Calligarich (nuovamente edito da Bompiani,riedito da Aragno, già edito da Garzanti) è un romanzo da leggere muniti di lapis ben temperato per la sottolineatura di ciò che può risultarci citazione opportuna, aforisma arguto, analogia felicemente concepita, intrigati da una narrazione d’antan intrisa di vissuto personale amarovitizzato (o sdolcevitizzato), strizzato e steso ad asciugare in una Roma fine anni 60 e principiante gli anni 70.
Un lapis per sottolineare subito l’incipit: “Del resto è sempre così. Uno fa di tutto per starsene in disparte e poi un bel giorno senza sapere come, si trova dentro una storia che lo porta dritto alla fine”.
Il Calligarich l’ho conosciuto nel 1957 in Urbino, studente milanese del Corso di Giornalismo, già autore di testi scritti per narrare dei pirati (bucanieri) e della pirateria, che nel suo romanzo (p.26) risultano scritti dal protagonista Leo Gazzarra e utilizzati come supporti bibliografici da un altro protagonista (Renzo). Lo ricordo protagonista durante la Festa della Matricola, in rapporto di coppia con una piacente coetanea pesarese, disponibile e collaborante per ogni iniziativa dei compagni di studio.
Paolo Mauri ha recensito questo romanzo ne “la Repubblica“ (10.03.2010), segnalandolo come referto esistenziale, piccolo gioiello letterario già edito da Garzanti nel 1973, ironico e dolente insieme, protagonista un personaggio che dice “alzo le vele“ (la pirateria docet!) per dire “vado“ ogni volta che decide di andare: considerando “sfinocchiato“ chiunque (anche se stesso) gli rivela di aver toccato quel “limite“ che contrassegna il punto in cui una persona comincia ad arrendersi, perchè le cosiddette “cose“ non vanno per il verso giusto o non vanno neanche spinte.
Buona lettura col lapis in mano per eseguire, eventualmente, alcune sottolineature come quelle che seguono.

Siamo quello che siamo non per le persone che abbiamo incontrato ma per quelle che abbiamo lasciato (p.18).
La bellezza non puzza mai di fatica e di conquista ma viene direttamente da Dio e questo basta a farne la sola vera aristocrazia umana (p.53).

La città era così vuota che si sentivano i palazzi invecchiare (p.62).
Il silenzio era tanto che potevamo sentire il fiume scorrere sotto i ponti (p.66).
Sono sempre i denti a denunciare la povertà di nascita di una persona, i denti e gli occhi (p.76).
Dopo i tentati suicidi ci vuole sempre molta dignità (p.87).
Così lo lasciai lì a guardare la vita dalla posizione più tollerabile (p.90).

(Già postato anche in: http://www.iantichi.org/?q=node/465http://www.lampisterie.ilcannocchiale.it/ )

Published by rossiroiss, on settembre 12th, 2016 at 12:49 pm. Filled under: Enzo Rossi-RòissCommenti disabilitati

DI UN NONNO GIOCATORE IN CAMPO DURANTE I TEMPI SUPPLEMENTARI

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A Parigi con la figlia Rebecca ((sul fondo)

Un uomo della mia età… l’età di molti!,
dopo aver appreso che sarebbe stato ruolato nonno,

ha cominciato a percepirsi in buona salute,

coetaneo di similgenetliacati bis-nonni…badati:

prefigurandosi la propria esistenzialità residua,

durante l’attraversamento di un tunnel

con l’accesso sulla linea di un orizzonte
retrostante all’orizzonte che gli risulta visibile.

Un tunnel privo di ogni indicazione evidenziata,

relativa alla sua lunghezza e alle sue sicurezze,

nel momento in cui ha cominciato a pensare

come dovrà relazionarsi con un nipotino,

in concomitanza col suo 79esimo compleanno,

genitore d’antan di un 55enne senza prole

divenuto zio coetaneo di similanagrafati già nonni.


Quest’uomo della mia età… l’età di molti!,

mi ha scelto, perciò e d’amblè, come scrittore ombra

della sua esistenzialità di ottuagenario non scribente,

durante uno dei giorni prenatalizzi del 2015.

Annunciandomi che durante l’anno bisesto 2016

sarebbe divenuto nonno dI un nascituro primogenito,

destinato a distinguersi nomato e geneticato ad hoc,

figlio primogenito di una donna che è sua figlia:

zodiacato Vergine come la madre e il nonno.

Non disponendo di alcun modello di nonno da emulare,

l’uomo della mia età… l’età di molti!, però,

mi ha incaricato di pensare in sua vece

come attraversare il tunnel del nuovo orizzonte,

consigliandolo riguardo al “Che fare” canonico:

poiché non dispone di alcun sapere adeguato.

Mi ha chiesto “sic stantibus in rebus”

di essere e scrivere come suo alter ego.

Anticipandomi che può assumere soltanto l’impegno

a fornirmi esercizi di narrazione orale autobiografante,

come exemplifico qui di seguito perché sia parafrasato:

narrandomi altri nonni come io narrerò i miei,

presenze referenziali mancate loro malgrado.

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Biennale d’Arte a Venezia nel 1964, con Lucio Fontana

DEL MIO NONNO MATERNO

Del mio nonno materno Salvatore Pesce (1882 – 1946), nato nell’anno delle morte di Giuseppe Garibaldi e morto nell’anno della nascita postbellica della Repubblica Italiana, posseggo alcune immagini fotografiche che lo ritraggono in abiti domenicali aggruppato ai famigli. Conoscitore del suo micro universo sociale abitato e redditato dagli operatori economici e dai lavoratori agricoli. Estimatore, quindi, soltanto delle eccellenze socio-economiche e culturali relative all’agricoltura.
Posso scrivere che ha generato figliolanza alfabetizzata (2 donne Rosaria e Genoveffa + 1 uomo Luigi): scrivendo che nella società civile del suo tempo ebbe ruolo di fattòre (facitore, curatore, agente) agricolo nel territorio salentino, privo di possedimenti personali, caratterializzato da sospettosità per ogni immigrato nel suo territorio, non considerandolo portatore di eccellenza in attività lavorative diverse da quelle agricole. Come il mio papà, eccellente maestro muratore “Mesciu Pippi te Manduria”, molto apprezzato in loco: indesiderabile, però, come possibile marito di una delle sue figlie, perché generato da una donna più volte vedova rimaritata e madre di figli diversamente cognomati (1 Accetta + 4 Rossi + 2 Maggi).
Durante i primi 8 anni della mia esistenza, ricordo di averlo incontrato episodicamente scambiandoci affettuosità rituali in occasione delle festività religiose locali e nazionali. Testardamente ostile a mio padre perché era riuscito a sposare una delle sue figlie, previo rapimento (
fuitina) consenziente.

L’ho sempre incontrato nella sua residenza campagnola limitrofa a un insediamento urbano salentino nomato Novoli: una residenza privata soprastante un groviglio di ambienti per le attività lavorative agricole, con agrumeto e pozzo con acqua sorgiva: contornato da muratura tufacea accessibile attraverso un’apertura ostacolata da un cancello ferroso lucchettato. Continguo, tutto ciò, ad altre residenze famigliari private: con uso collettivo di piccola chiesa consacrata a Santa Lucia. Un mini villaggio, quasi, destinato a essere fagocitato durante i decenni successivi dalla urbanizzazione confinante.

Questo nonno mi ha privato della sua esistenza 9 anni dopo la mia nascita senza alcun ricordo dei nostri rapporti impresso in modo indelebile nella mia memoria.

DEL MIO NONNO PATERNO
Non posseggo immagini né ricordi del mio nonno paterno Vincenzo Rossi, nato nel 1867 a Caserta luogo personale di provenienza anagrafica, imparentato con i Rossi comprensivi anche del giornalista Ernesto Rossi (1897-1967). Un nonno redditato a Barletta dall’azienda ferroviaria dell’epoca, presso la quale risultò qualificato “commesso ferroviere”, un nonno alfabetizzato capace di leggere e scrivere, quindi. La mia calligrafia somiglia alla sua, particolarmente la mia firma autografa giovanile confrontata alla sua firma autografa apposta nel registro anagrafico dei matrimoni contratti a Barletta nell’anno 1902 (stesso nome e cognome). Una firma vergata senza esitazione dalla mano di un uomo ben alfabetizzato (dati i tempi!) lavorante in un ufficio, obbligato a firmare documenti burocratici più volte durante la stessa giornata lavorativa.
Trentacinquenne sposò nel 1902 (l’8 giugno a Barletta) una giovane vedova casalinga analfabeta (Maria Savina Dellisanti) 25enne gravida e già madre di un figlio unico nomato Michele Accetta (nato il 15.6.1899): generando e scolarizzando durante gli anni successivi quattro figli cognomati Rossi, compreso mio padre Giuseppe, nato quartogenito nel 1908 (terzo dei Rossi).
A Barletta, la famiglia del mio nonno paterno ha vissuto in un appartamento col l’accesso nell’androne di un edificio costruito fuori della stazione ferroviaria a sinistra, poi ancora a sinistra, un grande arco, quindi un cortile. Il rapporto con la Dellisanti, vedova 25enne e già madre di un bambino 2enne, lo suppongo iniziato come rapporto di servizio, sia collaborativo sia abitativo, divenuto ravvicinato e clandestinamente sessuale fino al matrimonio riparatore.
Questo nonno mi è stato narrato da mio padre come un nonno morto misteriosamente 46enne, sette mesi dopo l’inizio della prima Grande Guerra, il 21 febbraio 1915 alle ore 17,20, in Vico Chiuso Abate n.10 a Barletta. Fu sepolto in una fossa comune.
“Il nonno aveva tentato il suicidio con un colpo di pistola, disperato per un male dolorosissimo, ma la moglie giunta in tempo gliel’aveva impedito. La vox populi divulgò come notizia la sua morte, dicendo che era stato affatturato e avvelenato da maleintenzionati a causa della sua dirittura morale ”, mi ha più volte detto mio padre ammirato.
Morto questo nonno, la mia nonna paterna sperimentò nuovamente la condizione di vedova (38enne) con cinque figli a carico (3 maschi Michele, Giovanni e Giuseppe + 2 femmine Anna a Lucia, ultima nata nel 1912): destinandosi a generare altri due figli Nicola e Leonarda) durante il dopoguerra, maritata (42enne, il 22 aprile 1919) ad un piccolo proprietario terriero (Filippo Pasquale Maggi), insediato a Uggiano Montefusco nei pressi di Manduria in provincia di Taranto, che sarebbe poi morto anagrafandola vedova per la terza volta: fino al 16 gennaio 1957, giorno della sua morte.
Funzionario dell’azienda ferroviaria a Barletta, proveniente dai Rossi di Caserta, ben alfabetizzato già durante gli ultimi anni del 1800: con questo nonno avrei sicuramente intrattenuto rapporti fertili, fosse morto alcuni anni dopo la mia nascita. Fosse vissuto tanto da educare e scolarizzare ulteriormente i suoi figli, dando loro la possibilità di frequentare istituti scolastici superiori a quelli delle elementari. Come è accaduto ai suoi nipoti e ai figli dei suoi nipoti (me compreso, con i miei figli!) ripristinatori e restauratori del loro ceto socioculturale originario…nonnesco.

Published by rossiroiss, on settembre 6th, 2016 at 1:04 pm. Filled under: Enzo Rossi-RòissCommenti disabilitati