Enzo Rossi-Roiss

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“L’ULTIMA ESTATE IN CITTA’ ” DI GIANFRANCO CALLIGARICH

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“L’ultima estate in città“ di Gianfranco Calligarich (nuovamente edito da Bompiani,riedito da Aragno, già edito da Garzanti) è un romanzo da leggere muniti di lapis ben temperato per la sottolineatura di ciò che può risultarci citazione opportuna, aforisma arguto, analogia felicemente concepita, intrigati da una narrazione d’antan intrisa di vissuto personale amarovitizzato (o sdolcevitizzato), strizzato e steso ad asciugare in una Roma fine anni 60 e principiante gli anni 70.
Un lapis per sottolineare subito l’incipit: “Del resto è sempre così. Uno fa di tutto per starsene in disparte e poi un bel giorno senza sapere come, si trova dentro una storia che lo porta dritto alla fine”.
Il Calligarich l’ho conosciuto nel 1957 in Urbino, studente milanese del Corso di Giornalismo, già autore di testi scritti per narrare dei pirati (bucanieri) e della pirateria, che nel suo romanzo (p.26) risultano scritti dal protagonista Leo Gazzarra e utilizzati come supporti bibliografici da un altro protagonista (Renzo). Lo ricordo protagonista durante la Festa della Matricola, in rapporto di coppia con una piacente coetanea pesarese, disponibile e collaborante per ogni iniziativa dei compagni di studio.
Paolo Mauri ha recensito questo romanzo ne “la Repubblica“ (10.03.2010), segnalandolo come referto esistenziale, piccolo gioiello letterario già edito da Garzanti nel 1973, ironico e dolente insieme, protagonista un personaggio che dice “alzo le vele“ (la pirateria docet!) per dire “vado“ ogni volta che decide di andare: considerando “sfinocchiato“ chiunque (anche se stesso) gli rivela di aver toccato quel “limite“ che contrassegna il punto in cui una persona comincia ad arrendersi, perchè le cosiddette “cose“ non vanno per il verso giusto o non vanno neanche spinte.
Buona lettura col lapis in mano per eseguire, eventualmente, alcune sottolineature come quelle che seguono.

Siamo quello che siamo non per le persone che abbiamo incontrato ma per quelle che abbiamo lasciato (p.18).
La bellezza non puzza mai di fatica e di conquista ma viene direttamente da Dio e questo basta a farne la sola vera aristocrazia umana (p.53).

La città era così vuota che si sentivano i palazzi invecchiare (p.62).
Il silenzio era tanto che potevamo sentire il fiume scorrere sotto i ponti (p.66).
Sono sempre i denti a denunciare la povertà di nascita di una persona, i denti e gli occhi (p.76).
Dopo i tentati suicidi ci vuole sempre molta dignità (p.87).
Così lo lasciai lì a guardare la vita dalla posizione più tollerabile (p.90).

(Già postato anche in: http://www.iantichi.org/?q=node/465http://www.lampisterie.ilcannocchiale.it/ )

Published by rossiroiss, on settembre 12th, 2016 at 12:49 pm. Filled under: Enzo Rossi-RòissCommenti disabilitati