La marcia di avvicinamento mediatico di Gianfranco Calligarich AI PREMI STREGA E CAMPIELLO 2017 ha avuto inizio
Notiziato, giudicato e promosso ad hoc, domenica 2 ottobre dal “Corriere della Sera” (Ermanno Paccagnini) e lunedì 3 ottobre da “la Repubblica” (Paolo Mauri) il nuovo romanzo di Gianfranco Calligarich edito da Bompiani col titolo “La malinconia dei Crusich” è possibile pronosticarlo concorrente ai premi Strega e Campiello 2017. Come l’ho preconizzato scrivendo il testo che ho webizzato nel blog del mio sito personale il 22 settembre (http://www.rossiroiss.it/blog/?p=1415).
Considerando contentino minore ogni altro Premio letterario italiano.
Considerando tale libro contenitore di un esercizio scrittòrio post Holden sbariccato & sbariccabile. Anche rieditabile, rivisto e arricchito come è già accaduto al “Posta prioritaria”, con 7 “storie” inedite aggiunte alle storie edite da Garzanti nel 2002. Come è accaduto ai “Promessi Sposi” rieditato più volte dal Manzoni con revisioni & aggiunte.
Il Calligarich ci pensi su e dia inizio, appena possibile, ai lavori di scrittura per farcire il già narrato malinconicamente. Ci narri il Gino Crusich futuro o già fotografo (letteraturizzazione di se stesso scrittore): nel 1954, l’anno della restituzione di Trieste all’Italia – nel 1956, anno della Ungheria invasa e occupata dalla Unione Sovietica, studente che non ha ancora deciso di “buttare via i libri e la scuola” (un istituto tecnico) – nel 1968 anno storico della rivolta studentesca, docu-fotografo emigrato a Roma – nel 1978 sceneggiatore televisivo trasteverino, durante l’anno dell’Aldo Moro rapito e ucciso dalle Brigate Rosse. Narrazioni assenti nel libro pubblicato.
Paolo Mauri, il medesimo de “Il Cavallo di Troia” trimestrale (1981-1989) ha scritto: “L’intero romanzo è una sorta di caleidoscopio pieno di storie, di luoghi e di personaggi anche misteriosi. Uno di loro, veterinario, verso la fine del libro (pagine dalla 426 alla 438), cura un falco ferito e poi lo libera perché possa tornare a sprigionare la sua immensa forza. E’ una pagina bellissima, la metafora, credo, dell’intera storia”. Concludendo la sua lunga recensione con istruzioni per la degustazione “letturale” della intera narrazione: “Una saga, come quella dei Buddenbrook o dei Buendia”.
Ermanno Paccagnini ha concluso scrivendo questo explicit: “Romanzo che si distende in una narratività della quale resti felicemente prigioniero, per quel suo portarti dentro, facendoti vedere ciò che racconta”. Dopo aver rammemorato il Fulvio Tomizza autore de “La miglior vita” e Arturo Loria narratore de “Il falco”.
Poichè nella narrazione del Calligarich, “….la presenza umana è ridotta alla funzione dell’occhio di chi narra, a uno sguardo personale passivo che intende avvicinarsi a quello della fotografia o della macchina da presa” (per dirla con parole di chi ha dimestichezza con i narratori della cosiddetta “Scuola dello sguardo”), qualcuno dei prossimi recensori ci evidenzi eventuali tracce del “Nouveau Roman” d’antan.