Rita Aldrovandi ci disturba, ci interroga, ci attira, lasciamola fare.
José VOVELLE
Rita Aldrovandi ha già una dimenzione internazionale: alcune esposizioni in Italia, in Francia e in Belgio ce l’hanno fatta conoscere, ma non abbiamo sviscerata abbastanza l’evoluzione del suo disegno, o piuttosto della sua visione, esigente, imperativa, che s’impone.I pastelli del 1977 facevano ancora gran conto dei valori, ma, anche, nella semplicità delle curve, dei corpi appena evocati, esacerbavano l’aggressività dei punti di regresso del contorno. Poi il disegno lineare si è imposto, la penna ha lasciato apparire sul foglio bianco delle figure che sono state paragonate a dei totem, doveil viso, specchio ovale, appena modellato localmente da un punteggiato, può rimandare alla rappresentazione archetipica di Klee o del primo Lam. Infine il progetto è maturato e i mezzi di cui si serve si sono precisati, semplificandosi.
Sono le immagini del 79/80 che questa giovane “Parca” ha dedicato, in armonia privilegiata con i discorsi della sensibilità femminile,ai poemi di Andrée Sodenkamp e Pauline Roth-Mascagni, e che filano il loro tratto flessibile, interrotto nell’automatismo della mano guidata dal fantasma.Dell’arabesco soffice rifiutano, da questo punto in poi, ogni concessione al modellato o si liberano, si organizzano spesso in costruzione piramidale degli intrecci o degli incontri di esseri umani o animali.Alcune indicazioni puntuali le precisano sulla loro identificazione, dei segni marcano, li occhi, la punta dei seni, l’ombelico. A volte qualche elemento realista affiora- un viso, una colonna – ma l’incertezza sussiste nell’interpretare la composizione come un bestiario innocuo. Le linee possono anche suggerire bene le silhouettes fantastiche 8sarebbero delle maschere?). Nessuna angoscia d’altra parte in queste costruzioni statiche che sembrano riflettere come il trionfo del regno animale su quello minerale, nelle sue metamorfosi. In questa ultima espressione che ci intriga particolarmente, il disegno di Rita Aldrovandi evoca la sinuosità delle lamelle di uno “scisto”, o meglio le “agate figurate” ancora prima di sollecitarci a riconoscervi in queste cose gli elementi biomorfici.Ci hanno detto che l’artista ha fatto degli studi scientifici (scienze naturali), bisognerebbe che loe immagini del suo mondo interiore siano distillate attraverso questo “Teatrum Chimicum” di cui parla André Breton a proposito della “lingua delle pietre”.Cercando queste differenze comparative ci siamo imbattuti in una frase di Roger Callois: “Nel Museo Metallicum pubblicato nel 1648 da Ambrosini, il naturalista di Bologna Ulisse Aldrovandi, classifica le specie di marmo a seconda delle figure che presentano naturalemnte: enumera così i marmi a soggetto religioso, a corsi d’acqua, a onde mosse, a foreste, a visi, a cani, a pesci, a dragozzi, etc…”.
Si badi bene che le figure che nascono dal tratto di Rita Aldrovandi, ricollocata nelle sue origini bolognesi alle prese con le scienze naturali, per qualche misterioso “azzardo obbiettivo”, non sono affatto inoffensive. Misteriose certamente. Ma è precisamente la loro sensualità, più che la loro animalità, che noi riceviamo adesso in maniera pressante.Le sue ultime sculture conferiscono la terza dimensione alle stesse confluenze piramidali d’esseri che nascono o si rincontrano elettivamente, in un’altra e sottile trasmutazione della materia minerale.Nella sua ambiguità, come nella sua coerenza, Rita Aldrovandi ci disturba, ci interroga, ci attira, lasciamola fare.
(Giugno 1981:scritto per l’expo al Kunst Forum di Schelderode in Belgio)
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Maud Andrée Sodenkamp, née à Saint-Josse-ten-Noode le 18 juin 1906 et décédée à Walhain le 27 janvier 2004, est une poétesse belge de langue française. Elle exerça la profession d’inspectrice des bibliothèques publiques (https://fr.wikipedia.org/wiki/Andr%C3%A9e_Sodenkamp)