DEI SANTINI MASSMEDIA DELLA CHIESA POST TRIDENTINA
I Santini sono quelle immaginette che da secoli “…fan da tramite tra le genti semplici e il Cielo”. Sono quei rettangolini di carta che “…emettono particolari messaggi pubblicitari religiosi per i loro tipici modi di comunicazione double-face”: strumenti di propaganda religiosa (catechesi!) che la Chiesa cattolica ha utilizzato e continua a utilizzare per supportare la sua ideologia. Ma sono anche “cimeli” collezionati da amatori in così gran numero che a qualcuno (Gennaro Angiolino) è venuto in mente, un giorno, di dar vita e sede a una Associazione Italiana Collezionisti Immaginette Sacre (Aicis), a Roma in Piazza S.Maria in Campitello 2. In stretto rapporto con la stampa popolare e la raffigurazione miniata, sono collezionati come i francobolli, le monete, le medaglie commemorative e quant’altro collezionabile, scatole metalliche per caramelle e figurine di ogni tipo e tempo comprese, da persone di ogni ceto sociale e culturale: bizzarre ed estrose nell’esibirli protetti e ordinati in album, bacheche e cornici, attente e pignole nella selezione e nella stima del loro valore (anche venale), soprattutto di quelli più antichi. Non sono collezionati, però, con l’intenzione di costituire l’iconografia di personali santuari della fede, segreti e inaccessibili. Nè sono collezionati per indagare privatamente il rapporto uomo-fede-arte, ieri-oggi-domani, o l’azione pedagogica esercitata. Non sono collezionati, in definitiva, come toccanti testimonianze dell’universo devozionale popolare, ma come simulacri di una “credulonità” (ci si passi il termine!) obsoleta. In ogni fiera e mercatino del modernariato si mercanteggiano come le cartoline illustrate e la corrispondenza con affrancatura annullata. Costano pochi euro quelli più recenti “tipografati”, che ambulanti e mendicanti offrono ai passanti per sollecitare la carità pubblica nei pressi di chiese e santuari, come nei centri storici cittadini. Costano molti euro quelli merlettati ottocenteschi, ancora di più costano quelli colorati a mano, oppure manipolati tanto da risultare “pezzi unici”. Immagini sacre della Madonna e di Cristo in bianco e nero, tratte da incisioni in legno, ci risultano diffuse come “imagerie populaire” prima che Giovanni Gutenberg inventasse a Magonza nel 1454 la stampa a caratteri mobili. L’uso del termine Santini è documentato da alcune scritture notarili degli ultimi decenni del Cinquecento. Sono stati doviziosamente “serviziati” più volte da Jesus, L’Espresso, L’Europeo, FMR e tanti altri magazines. La stampa quotidiana presta attenzioni a ogni loro esposizione in luoghi ecclesiali e sale per turisti in wek-end. Le “tipologie” risultano descritte in alcune pubblicazioni monografiche Il DAMS di Bologna ha già laureato chi li ha argomentati nella propria tesi (Cristina Nobili: Analisi iconografica della religiosità popolare – Le immaginette sacre). Il Pane di Sant’Antonio li calendaria ogni anno. Che sia giunto il momento per “nobilitarli” con una esposizione pubblica nelle sale di un museo d’arte moderna e contemporanea, gratificandoli per il ruolo di mediazione svolto come eccentrici mass-media ecclesiali? La domanda ce la siamo posta rileggendo un testo di Lamberto Pignotti apparso in D’Ars (n.99/1982). Dopo aver letto “I Santini” (1993), catalogo di una mostra a Piombino con testi di Autori Varii, e “Santini” di Elisabetta Gucci Grigioni e Vittorio Pranzini, edito dalla Essegi di Ravenna nel 1990. Avendo letto in precedenza “Madonne Santi e Santini”, catalogo della omonima rassegna organizzata dal Centro Morandi a Roma (1980), e “Immagini Sacre da libro” della Società San Paolo (edizione fuori commercio 1980). Sapendo di alcune pubblicazioni tedesche e francesi, più che altro descrittive e catalogatorie. Il Catalogo “Turgi” del 1840, conservato nella Biblioteca Nazionale di Parigi, per esempio, riproduce 225 modelli diversi di teste di Santi, 419 biglietti di Prima Comunione, 2.000 piccole immagini per messale. Non è stata ancora effettuata, però, una ricerca sociologica globale che li riguardi. Non è stata svolta alcuna indagine filologica rigorosa sui vari coefficienti linguistici, retorici, semiologici e iconografici che li caratterizzano. “Sia la linguistica che la critica d’arte li hanno soltanto aggirati come ostacoli”, è stato scritto. Forse perché a prima vista, osservandoli, si riceve una generale impressione di kitsch. Poiché si riscontra nella loro fattura un gusto cromatico e grafico non proprio sublime. Sicuramente perché propongono un repertorio iconografico vecchio e ripetitivo, con un linguaggio segnico divenuto inutile, e illustrano un immaginario infantile primitivo. Qualcuno li prenda seriamente in considerazione senza eccessivi pregiudizi come “operine d’arte”, sia pure d’arte minore e succedanea, campionariando gli esemplari frutto della spontaneità o tensione ideale personale. Quelli elaborati al limite del virtuosismo, fino all’assunzione di caratteristiche “singolari” che li impongono all’attenzione nostra e dei più distratti, come “oggetti” para-artistici. Quelli che possono risultare assemblagi di elementi diversi, nobilitanti la stereotipia e la trasandatezza di immaginette devozionali altrimenti soltanto incise o cromolitografate da artigiani talentati. Quelli oggettualizzati (generalmente da mani suorali nei conventi) con piume, petali, perline di ogni colore, frammenti di stoffa “fina” e quant’altro assemblabile e decorativo, per funzioni individuali e segrete. Il culto delle immaginette fu considerato lecito e affermato tale nel 1547 dal Concilio di Trento. Il Santino come immaginetta per la massa è nato, però, principiando l’Ottocento, Dopo il 1860 si è semplificato per diffondersi più a buon mercato. Tra il 1880 e il 1915 si è colorato col procedimento cromolitografico. Poi la sua qualità grafica ha cominciato a scadere, fino al momento della monocromia al bromuro (nero o marrone) e al Santino di nessun pregio serializzato a costi sempre più bassi. I Santini traforati e colorati singolarmente con abilità da devoti e suore oranti e pazienti, “unicizzati” per esprimere affettività e comunicare spiritualità eccezionali e irripetibili, oltre che non emulabili, sono Santini di pregio considerati rari. Significano devozionalità personalizzata, testimoniano fede intima e segreta, documentano rapporti esasperati e terapeutici col Divino e la Santità. Siano decodificati con indulgenza, perciò, da chi si considera componente di una società sdivinizzata.
(Testo leggibile anche in: http://web.mac.com/colaciccogennaro/santininatalizi/Letture_eRossi.html )