DELLA “CRISTALLIZZAZIONE” LETTERATUREGGIATA DA STENDHAL NEL 1819 IN “DE L’AMOUR”
“Quello ch’io chiamo cristallizazione, è l’opera della mente, che da qualunque occasione trae la
scoperta di nuove perfezioni dell’oggetto amato: (…) tale fenomeno è generato dalla natura che ci comanda di godere e ci manda il sangue al cervello, dal senso che il gaudio aumenta con le perfezioni dell’oggetto amato, e dal pensiero: ella è mia. (…) un uomo appassionato vede ogni perfezione in colei che ama”.
Lo ha scritto nel capitolo secondo de “De l’Amour” (1819), uno Stendhal non ancora autore dei romanzi per i quali gode celebrità. Componendo un libro (edito nel 1822) che “….fra tutte le monografie sull’amore, è certamente la più efficace e la migliore, e quella da consultare sempre per prima” (Emile Henriot); “…insieme un arringa di difesa, una terapia rivolta a se stesso” (Victor Brombert); “…traboccante della più fervida passione: delle sue gioie, dei suoi tormenti, illusioni felici e delusioni amarissime di innamorato, dei rapimenti ineffabili e della disperazione più cupa¸in fondo alla quale si trova pur sempre però una certa felicità, quella dell’amare, che l’amore non nega mai a chi si concede a lui con purezza di cuore” (Mario Bonfantini).
Uno Stendhal trentasettenne, scrittore di patimenti amorosi autobiografici narrati e commentati come finzioni letterarie, vanamente innamorato dal 1818 al 1822 di Metilde Viscontini ventiquattrenne maritata Dembowsky, “…gentile, ragiona bene, con troppi angoli nelle sue forme per essere graziosa”, destinata a morire trentacinquenne.