Enzo Rossi-Roiss

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DI UNA ASTUTA EXPO NOMATA “OPEN” ARREDO URBANO STAGIONALE DEL LIDO DI VENEZIA DURANTE I GIORNI DELLA MOSTRA DEL CINEMA

OPEN, International Exibition of Sculptures and Installations allestita en-plein-air al Lido di Venezia, reddita quanto basta da 15 anni il boss di Arte Communications Paolo De Grandis, sconiugato da Paivi Tirkkonen scarsamente redditata, invece, a Cibiana di Cadore (Belluno) dove si attiva come boss di una agenzia personale (http://www.paiviproarte.com). Tale OPEN si concretizza materializzandosi ogni anno come arredo urbano stagionale, realizzato con opere di artisti (allodole) che  pagano il dovuto al De Grandis (specchietto) per logotiparsi nel CV personale esposti a Venezia, in concomitanza con la Mostra del Cinema.
Sono in gran numero gli stranieri orientali (tanta Korea), sempre meno numerosi gli italiani (5 partecipanti) e gli occidentali (tanta Grecia): tutti coinvolti a sperimentare una esperienza espositiva datata 2012 che, alla resa dei cosiddetti conti, si rivela sterile per quanto riguarda la promozione al seguito, poiché ai cosiddetti “addetti ai lavori”  del Sistema dell’Arte continua a rivelarsi portatrice di minus-valore, come le expo con date precedenti. Annunciata duratura dal 30.8 al 30.9, ha per fruitori cinefili di ogni età in transito frettoloso soltanto durante i 10 giorni della Mostra/Festival: poi risulta attenzionata soltanto da chi abita stabilmente al Lido.
Trattasi di una astuta expo (fungaia) che continua a vegetare nell’umus sottostante e circo-stante di una manifestazione (quercia) inequivocabilmente internazionale nomata Mostra del Cinema.

Gli artisti “OpenEsposti” dell’annata 2012 (a futura memoria webizzata) sono: Nora Iniesta, Lindy Lee, Virginia Ryan, Ronni Ahmmed, Mahedi Anjuman Joothi, Shakhwat Hossain Razib, Lim Dong-Lak, Yang Mian, Au Hoi-Lam, Lui Chun-Kwong, Venia Bechrakis, Effie Halivopoulou, Fotini Kariotaki, Maria Kompatsiari, Artemis Patamianou, Aspa Savidi, Davide Aghayan, Chiara Bugatti, Ursula Huber, Yousef Moscatello, Anita Sieff, Daniel Rothbart, Liu Jia, Liu Dahong, Andreas Kuhnlein, Cornelia Kubler Kavanagh e Limacina Helicinai, Fernando Reyes, Gaylord Chan, Lia Wei e Zhang Qiang, Lampros Asimakis, Eleftheria Gavrilidou & C., Giorgos Gerontidis, Nikos Gkoulios, Kostantina Kotzamani, Christos Sitaridis, Maya Tsambrou, Vlahopoulos Yannis.

Published by rossiroiss, on agosto 31st, 2012 at 5:34 pm. Filled under: Enzo Rossi-RòissCommenti disabilitati

RIGA STREET IN CAMPO SAN ZACCARIA A VENEZIA BIENNALIZZA LA PROFESSIONE DI ARCHITETTO ESERCITATA NELLA REPUBBLICA DI LETTONIA

La Repubblica di Lettonia meriterebbe un premio speciale per aver realizzata la sua partecipazione alla 13.Biennale dell’Architettura spendendo il meno possibile. Autonomamente, senza l’assistenza prezzolata dell’agenzia Arte Communications del duo De Grandis-Tirkonnen (non più “duo” nel frattempo), si è insediata en-plein-aire sul suolo pubblico del Campo San Zaccaria con l’installazione di un manufatto, a costo zero per quanto riguarda il servizio di guardiania dal 29 agosto al 25 novembre 2012.

L’installazione è stata concepita per esemplificare la professione dell’architetto esercitata o esercitatile nel contesto urbano e  territoriale lettone, data la realtà contemporanea socio-economico-culturale. Ha per titolo RIGA STREET IN VENICE.

Dopo gl’insediamenti nel mini-negozio per souvenirs della Riva San Biagio, prescelto a  caro prezzo come “padiglione” per la partecipazione alle Biennali dell’Architettura “madrinate” e inaugurate da Helena Demakova, considero performance esemplare l’insediamento en-plein-air lettone, imitabile da chi dispone di budget inadeguato. A chi l’ha pensato e realizzato sia riconosciuto ogni merito.

Nel sito web “la Biennale” la partecipazione lettone risulta schedata come qui di seguito.
LETTONIA
Inner Freedom. Riga street in Venice
“Other Side Studio” Other Side Studio (Aksels Bruks, Kristaps Kleinbergs, Edgars Rožkalns, Helvijs Savickis, Austra Stupel) con Liga Apine e Ieva Kulakova

Commissario: Andris Kronbergs. Curatore: Ieva Kulakova. Curatore Aggiunto: Andris Brinkmanis. Sede: Campo San Zaccaria
www.innerfreedom.lv

Altro testo è leggibile in: http://www.italo-baltica.it/blog/la-lettonia-en-plein-air-nella-biennale-architettura-2012.html

Published by rossiroiss, on agosto 31st, 2012 at 11:01 am. Filled under: Enzo Rossi-RòissCommenti disabilitati

DELLA VETROSITA’ ARTISTICATA ESPOSTA A VENEZIA IN CONCOMITANZA CON LA BIENNALE ARCHITETTURA

A Venezia è tanta la vetrosità esposta in concomitanza con la 13.Biennale dell’Architettura (29 agosto – 25 novembre 2012), in più location diversamente mappate e diversamente visitate, conseguentemente. Persistente fino al 30 settembre la Fucina degli Angeli di Egidio Costantini esposta nel Museo del Vetro a Murano.
Le Stanze del Vetro stabilmente insediate sull’Isola di San Giorgio (free entrance), iper notiziate e illustrate più volte dai cronisti locali, copiando e incollando (talvolta anche firmando) testi di comunicati stampa, espongono la vetrosità made in Murano artisticata da Carlo Scarpa per Venini.
La vetrosità made in Svezia con inclusioni materiche aliene, artisticata dallo svedese Bertil Vallien, fa bella mostra di sé nelle sale al primo piano del Palazzo Cavalli Fianchetti (visitabile pagando un ticket), promoter e mercante l’imprenditore veneziano Adriano Berengo: self-made-man tutto fare, tutto dire e tutto scrivere e dettare, per pagare costi meno onerosi, tutto surrogando autarchicamente.
La vetrosità progettata per la Scuola del Vetro Abate Zanetti, in concorso per il Premio Murano risulta esposta nella Scuola della Misericordia (free entrance): in una mega location – monumentale – mal mappata nel Sestiere Cannaregio e perciò penalizzata per quanto riguarda l’affluenza dei visitatori, estremamente periferica rispetto al polo turistico della cosiddetta Area Marciana e al polo espositivo Giardini-Arsenale.
Tant’altra vetrosità artigianale, sia d’uso sia decorativa, incomparabile al vetro artisticato, comprensiva di pupazzetteria policroma presepiabile, risulta esposta in location espositive surroganti,  proposta e promossa dopolavoristicamente: docet (una per tant’altre!) l’expo collettiva intitolata “Venezia di vetro” allestita nella Cà Zanardi (free entrance) del Sestiere Cannaregio.

Published by rossiroiss, on agosto 30th, 2012 at 8:49 pm. Filled under: Enzo Rossi-RòissCommenti disabilitati

DI ADRIANO BERENGO GLASSBOSS SELFPROMOTER ORGANIZZATORE DELLA EXPO BERTIL VALLIEN Collaterale della Biennale Architettura a Venezia

POSTATO ANCHE IN: http://lampisterie.ilcannocchiale.it/post/2751632.html

photoKosta Boda – Bertil Vallien Art Glass

Imperdibile l’expo Bertil Vallien (svedese del 1938) nelle sale del Palazzo Cavalli Franchetti, collaterale prezzolata della Biennale Architettura (28.08 – 25.11.2012 in Campo Santo Stefano a Venezia). Imperdonabile che a tale artista non sia stata data visibilità espositiva a Venezia in concomitanza con una delle Biennali dell’Arte degli anni scorsi. E’ una expo retrospettiva allestita con opere plastiche vetrose made in Svezia, in contemporanea con l’expo Scarpa-Venini nelle Stanze del Vetro sull’Isola San Giorgio allestita con opere vetrose made in Murano. Vetrosità artisticata diversamente eccellente a confronto, quindi, anche diversamente massmediatizzata e accreditata,  per collezionisti e studiosi, considerabile diversamente dalla vetrosità artisticata della Fucina degli Angeli esposta dal Museo del Vetro a Murano per celebrare Egidio Costantini e giubilarlo nell’anno centenario della sua nascita. In barba a ogni iniziativa espositiva da altri intrapresa col proposito di promuovere e tutelate la vetrosità artisticata made in Murano, presupponendola portatrice di plus-valore ineguagliabile e virtuosità inimitabili, come ho scritto redigendo altro testo. L’impresa è stata compiuta da Adriano Berengo (veneziano del 1947), imprenditore con fornace propria e tanto altro a Murano e Venezia, boss di Glasstress che nelle sale di Palazzo Cavalli Franchetti s’insedierebbe stabilmente come curatore e monetizzatore di esposizioni allestite con opere vetrose, pagando il dovuto a chi di dovere (come suol dirsi!), in barba (contrariamente) alla finalità statutarie dell’Istituto Veneto per le Scienze Lettere e Arti.
Lo stesso Adriano Berengo self made man (dall’ago al miliardo), biografabile con la narrazione di un vissuto che qui di seguito zibaldonizzerò ad usum narrazione più esaustiva.

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A Venezia, giorno verrà in cui sul muro esterno di un condominio popolare del Sestiere Castello, mappato al n.1442 della Calle Colonne nel complesso abitativo angiportesco nomato “Marinaressa“, con doppio accesso sulla Riva dei Sette Martiri, per chi si direziona a via Garibaldi, sarà possibile leggere una lapide incastonata per commemorare un enfant du pays, di quelli che ce l’hanno fatta, con incisa questa iscrizione.


Nell’appartamento sottotetto al secondo piano di questo condominio ha abitato Adriano Berengo generato da un falegname arsenalotto nell’anno 1947, destinato ad ereditare il 50% di 65 mq abitabili, scarsamente pregiati, in con-proprietà con l’unico fratello minore Roberto. Divenne imprenditore vetrario con fornace di sua proprietà e maestri vetrai suoi dipendenti, praticando (prima) e promuovendo (poi) il commercio di manufatti vetrosi modellati nelle fornaci di Murano d’aprés creazioni di artisti: tanto da arricchirsi a dismisura perchè naturalmente abile nell’organizzare la commercializzazione a caro prezzo perfino dell’invendibile senza prezzo.

Chi scriverà tale iscrizione, quasi certamente sarà un conoscitore dell’ enfant du pays, nomato come un famoso imperatore romano letteratureggiato da Marguerite Yourcenar. La scriverà un autore di epigrafi epigono di Emanuele Antonio Cicogna (1789-1868): l’insigne raccoglitore/trascrittore di testi lapidei commemorativi, editati col titolo “Delle iscrizioni veneziane“, in sei volumi tra il 1824 e il 1853. Sarà, perciò, un pubblicista che avrà scritto anche altro, divulgato da media cartacei per bio-bibliografare l’Adriano Berengo raccontato sommariamente come qui di seguito.

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Adriano Berengo ha cominciato a intrattenere rapporti ravvicinati con l’artisticità sposando Antonietta (già incinta), figlia acculturata di un pittore veneziano che ha trascorso la sua esistenza dipingendo e insegnando a dipingere senza gloria e senza infamia (Sandro Sergi 1922-1998). Disponendo di un sapere culturale scolastico acquisito presso un Istituto Tecnico Nautico (detto “dei marinaretti”) che lo ha diplomato radiotelegrafista, idoneo a insegnare l’apprendimento dell’alfabeto Morse (prima). Con possibilità di accesso, previo esame di ammissione, alla facoltà universitaria che lo ha laureato conoscitore della lingua inglese (poi), predestinandolo a intrattenere rapporti con persone anglofone.
Si è iniziato al commercio dell’oggettistica vetrosa muranese, sia decorativa sia d’uso, operando nel ruolo di “esterno“ (cosiddetto!) pro sale di vendita di alcune fornaci (Murano Venezia – Bisanzio – Marco Polo), incaricato d’intrattenere rapporti proficui con “sgaloppini“, “apportatori“ e “intromettitori“ (cosiddetti!). Fino al momento in cui, sperimentatosi come docente precario di alfabeto Morse e lingua inglese poco redditato dal 1977 al 1981, con moglie e primogenito (Marco) nato nel 1972 bisognoso di alimenti, rilevò parte di una fornace (la Bisanzio), associato ad altri (Roberto Salviato, Carla Rigo e Dino Giusto), per dare inizio alla sua attività imprenditoriale.
Ha ricoperto il ruolo di amministratore dell’azienda vetraria Marco Polo, maturando una liquidazione di 500 milioni pre-euro nel momento in cui decise di mettersi in proprio, come suol dirsi, ruolandosi titolare-ombra di una mini impresa commerciale, terrazzata sulla Marco Polo e intestata Scandiuzzi (fratello di Doriana), che nomò Pinocchio (per le tante bugie già dette, o che avrebbe continuato a dire), prodromo di ogni altra impresa “bugiosa“ successiva diversamente nomata.

Familiarizzando con Paolo Valle, artista veneto coetaneo nato nel 1948, compagno di bevute al Lido, ha conosciuto il pittore Riccardo Licata nato nel 1929. In Artefiera a Bologna ha incontrato l’artista austriaca Kiki Kogelnik (1935 – 1997) alla quale ha proposto con successo di ri-produrre in vetro le sue maschere create modellando ceramica. Ha intrattenuto rapporti di amicizia con Gianfranco Chinellato in dimestichezza con la scrittura poetica, senza divenire lettore di libri scritti da poeti. Ha gestito un primo negozio a Murano, rilevato da Simone Genedese.
Durante una vacanza alle isole Canarie ha incontrato una cittadina olandese (Rietje Mackenbach) separata dal marito e con figlio unico disadattato a carico, titolare di un bar frequentato da artisti a Arnhem, che ha poi assunto il ruolo di sua seconda moglie nel 1991, essendo nel frattempo la sua prima moglie (Antonietta Sergi) divenuta madre di due figlie concepite in rapporto di coppia con altro partner.
Come organizzatore di mostre d’arte allestite con vetri d’artista ha esordito a Casarsa della Delizia nel Friuli di P.P.Pasolini, replicandosi a Venezia in alcuni spazi del Museo Diocesano, con opere vetrose di Vito Galfano (olandese di origine siciliana) e Robert De Fritz.
Durante gli anni Novanta, ha prodotto e mercanteggiato in gran numero oggetti materiali costituiti da materiale vetroso artisticato, stimolato dalla moglie olandese (destinata a ruolarsi gallerista autonoma in location di proprietà personale, divorzianda nel 2000).  Caratterizzandosi e propagandandosi anche come brand diversamente nomato ed eccellendo nel rebranding o Xe Service. Tanto da poter aspirare a divenire un giorno brand/lasciapassare per esporre in Art Basel, Fiac Paris, Arco Madrid, Artefiera et location espositive similari: fiere leaders oggetti di desiderio inibito dal 2000 (anno dell’unica presenza in Arco, “infortunata“ da una lite giudiziaria con Egidio Costantini de “La Fucina degli Angeli“).
L’arricchimento personale ha cominciato a realizzarlo insediandosi come Berengo Studio in Calle Larga San Marco 412-413, negli spazi di una ex farmacia d’antan, dove ha incrementato il mercanteggiamento e la monetizzazione, soprattutto durante i primi anni successivi al 2000, di una variegata pupazzetteria vetrosa policroma raffigurante  antropomorfismi e zoomorfismi modellati da creativi naitiviteggianti (Vigliaturo, Zeppel-Sperl, Ripolles, Rezzonico et similia per es.), refrattari a ogni artisticità spiazzante e mortificante.
Fino all’anno 2009, anno primo di Glasstress, evento collaterale prezzolato della Biennale d’Arte insediato nel Palazzo Cavalli Franchetti a Venezia, mentore/madrina la glassologa Rosa Barovier Mentasti, con ticket per i visitatori: ibridato poi tanto da caratterizzarlo, già nel 2011, strutturato come expo collettiva fierizzata e remunerativa a priori, con curatela collettiva eterogena, acquisibile  e curriculabile previa quota di partecipazione pagata anticipatamente da ogni singolo artista, oppure dal gallerista mercificatore di ogni singolo artista. Catalogo realizzato astutamente a posteriori con più copertine, ognuna concordata (commissionata) ad usum promozione dell’artista copertinato, previo acquisto anticipato di un tot copie.

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Scritto ciò, di Adriano Berengo considero opportuno continuare a scrivere ciò che segue, compiendo un esercizio di stile scrittorio a me congeniale.

Adriano Berengo è un imprenditore che interloquisce sorridente con ogni ipotetico cliente, esprimendosi con linguaggio imbonitorio sostenuto da gestualità giullaresca, ogni qualvolta mira a costituire un sistema patafisico di segni lusingatori forieri di occulta persuasione all’acquisto degli oggetti materiali vetrosi che propone e decanta come oggetti dotati di plus-valore artistico, custodia e garanzia di plus-valore monetario, dichiarandoli modellati tutti nella sua fornace a Murano.
Un imprenditore divenuto artefice incontestabile di una impresa organizzativa e commerciale esemplare, fucina d’interrelazioni redditizie delle quali è governatore “ubuesco“ autoritario, supportato da collaboratori, sia esterni sia interni, tutti ruolati “palotini“ con l’obbligo di applaudire ogni sua iniziativa e condividere ogni sua decisione, pena l’interruzione del rapporto lavorativo.
Un imprenditore che eccelle nella pratica del rebranding o Xe Service fiscoelusore/ingannatore, variamente nomato Venice Project – Berengo Studio 1989 – Berengo Centre for Contemporary and Glass: non più nomato (e fiscalizzato)  Berengo Fine Art – Berengo Studio – Berengo Collection.

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L’iperluogo natio biografante che lo logotipa è Via Garibaldi, la lunga e larga arteria stradale veneziana che non risulta nomata Calle, contigua all’Arsenale nel Sestiere Castello: l’equivalente di un villaggio originario popolare angiportesco dove ha trascorso innumerevoli “sabati“ leopardiani adolesceziali…intra di quei / ch’ebbe compagni nell’età più bella, nel ruolo di aspirante imprenditore vetrario di successo.
La via Garibaldi complesso urbano memoriale location dei primi innamoramenti, di un primo matrimonio riparatore e dei disagi post-bellici patiti durante gli anni adolescenziali pre miracolo economico: dai quali non è ancora riuscito ad affrancarsi psicologicamente, malgrado il benessere  economico miliardario conseguito e la promozione socio-culturale medio-borghese acquisita.
La via Garibaldi dove abita la zia materna Giulia novantenne, sitter e badante del suo primogenito Marco, educato e accudito dalla mamma, divenuta moglie prematuramente separata e poi divorziata, madre anche di due figlie concepite in rapporto di copia con altro partner.
La via Garibaldi (n.1533) del Ristorante Giorgione di Lucio Bisutto (folksinger dialettale veneto), dove il Berengo si reca frequentemente a mangiare le specialità delle isole della laguna con clienti-ospiti stranieri e conoscenti d’antan garibaldo-sestierati, agli occhi dei quali si esibisce nel ruolo di enfant du pays divenuto boss onusto di gloria imprenditoriale, che molto ha già ottenuto e tant’altro può ottenere, pagando i conti con varie carte di credito: cittadino veneziano residente al Lido in villetta unifamigliare di sua proprietà con moglie esotica (la terza) giovanissima, interrelazionato in più luoghi stranieri abitati e frequentati da anglofoni.
La via Garibaldi spazio pubblico collettivo dove intrattiene rapporti weekendificati con i due figli “infanti“ Hana-Mila e Adriano II°, generati già sessantenne con la giovane moglie Marya Kazoum, artista performer libano-canadese over30, che esibisce come trofei testimonials della sua virilità stagionata, anche ad astanti sconosciuti che lo ruolano nonno istintivamente, tanto risulta fuori ruolo fisicamente come loro papà.
La via Garibaldi dove risulta insediato al numero civico 1639 un negozio nomato Alice in Wonderland Fine Arts Gallery gestito da Sergio Parma, sperimentato venditore di oggettistica vetrosa e suo consuocero mancato: compagno d’incursioni commerciali giovanili in territorio straniero e co-dormiente in una Peugeot blu per economizzare alla fine di giornate concluse economicamente in bianco.

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CONCLUDENDO – C’è qualcosa di dolorosamente solipsisistico nella condizione di self-mad-man del Berengo, al quale il successo economico non risulta bastevole per l’affrancamento dal richiamo delle origini, nè dalla solitudine dell’uomo-isola. Un uomo divenuto artefice incontestabile di una impresa organizzativa e imprenditoriale esemplare, oltre che inemulabile, fucina d’interrelazioni commerciali redditizie delle quali è governatore “ubuesco“ autoritario e factotum autarchico, sospettoso di ogni  individualità creativa portatrice d’intellettualità inassimilabile e incontrollabile.

Published by rossiroiss, on agosto 24th, 2012 at 2:21 pm. Filled under: Enzo Rossi-RòissCommenti disabilitati

DELLA “CRISTALLIZZAZIONE” LETTERATUREGGIATA DA STENDHAL NEL 1819 IN “DE L’AMOUR”

“Quello ch’io chiamo cristallizazione, è l’opera della mente, che da qualunque occasione trae la
scoperta di nuove perfezioni dell’oggetto amato: (…) tale fenomeno è generato dalla natura che ci comanda di godere e ci manda il sangue al cervello, dal senso che il gaudio aumenta con le perfezioni dell’oggetto amato, e dal pensiero: ella è mia. (…) un uomo appassionato vede ogni perfezione in colei che ama”.
Lo ha scritto nel capitolo secondo de “De l’Amour” (1819), uno Stendhal non ancora autore dei romanzi per i quali gode celebrità. Componendo un libro (edito nel 1822) che “….fra tutte le monografie sull’amore, è certamente la più efficace e la migliore, e quella da consultare sempre per prima” (Emile Henriot); “…insieme un arringa di difesa, una terapia rivolta a se stesso” (Victor Brombert); “…traboccante della più fervida passione: delle sue gioie, dei suoi tormenti, illusioni felici e delusioni amarissime di innamorato, dei rapimenti ineffabili e della disperazione più cupa¸in fondo alla quale si trova pur sempre però una certa felicità, quella dell’amare, che l’amore non nega mai a chi si concede a lui con purezza di cuore” (Mario Bonfantini).
Uno Stendhal trentasettenne, scrittore di patimenti amorosi autobiografici narrati e commentati come finzioni letterarie, vanamente innamorato dal 1818 al 1822 di Metilde Viscontini ventiquattrenne maritata Dembowsky, “…gentile, ragiona bene, con troppi angoli nelle sue forme per essere graziosa”, destinata a morire trentacinquenne.

Published by rossiroiss, on agosto 22nd, 2012 at 8:14 am. Filled under: Enzo Rossi-RòissCommenti disabilitati

DUE VULVAEPISTOLE INEDITE ad personam

Photo: I libri fuori catalogo o esauriti possono essere ordinati a: www.LibreriaParolini.com

VULVAEPISTOLA PRO DEA SUPERIORE

Mia cara,
siccome ogni relazione conclusa e archiviata mi ha reso più esigente durante la relazione successiva, ed ogni cosa in te è in offerta speciale per la soddisfazione del reciproco desiderio sessuale intrattenendo rapporti sempre più ravvicinati e frequenti, durante ogni nostro incontro ci condurremo di piacere in piacere compiendo ogni esercizio della galanteria. Poiché voglio che tu sia mutante come Proteo durante ogni amplesso: una leonessa per quanto riguarda l’irruenza, un serpente per quanto riguarda l’arte d’insinuarti, onda e fiume nel sottrarti, per consentirmi di scoparti come una mortale, considerandoti dea superiore a tutte le mitiche dee dell’antichità. Tutto ciò che l’arte amatoria, appresa leggendo certi libri unici, mi consentirà di escogitare lo metteremo in opera impigliandoci in voluttuosi preliminari, però, assecondati dalla natura che eseguirà docile i nostri ordini: in modi tali che la passione ci inebrii concretizzando le nostre fantasie, abbattendo e vanificando ogni ostacolo alle nostre effusioni, fomentando l’estasi del possesso perchè ci pervada tanto da fonderci fisicamente e farci costituire una unità taoista (1+1=1). La singolarità del nostro rapporto sia l’unico argomento delle nostre conversazioni prima, durante e dopo ogni nostro amplesso.

VULVAEPISTOLA AD FICOFORA STRAORDINARIA

Mia cara,
sapendoti over 30 e considerandoti ficofora straordinaria, scrivo:… non perdere il tempo più felice della tua vita, poichè sono corti e pochi gli anni del piacere più succoso e orgasmico: quelli del decennio 30-40, ai quali seguono quelli del decennio successivo durante il quale comincerà ad attenuarsi la pulsionalità che attiva il desiderio di scopate condivise. Non correre il rischio di perderti occasioni d’intesa sessuale irreplicabile. Trascina al seguito del tuo fascino chi ti concupisce come portatrice di carica erotica a miccia corta, e acconsenti alle sue richieste copulatorie in modo che durante ogni amplesso lo smarrimento ti derivi dai sensi. L’intensità del piacere così goduto sarà tale che ti donerà gradevolissime memorie durante gli anni della vecchiaia. Rammemorando, “Breve è la giovinezza, e insensato  chi la lascia sfiorire senza gustarne le gioie più belle”: scritto da Claude Godard D’Aucour (1716-1795) nel suo capolavoro letterario “Thèmidore” pubblicato nel 1745. Comunque vadano a finire la tue serate successive alla data di questa vulvaepistola, ogni qualvolta le concluderai delusa o in solitudine, presupponendoti destinataria privilegiata di ciò che scrivo, rileggimi prima di addormentarti.
A futura memoria di un rapporto destinato a risultarci, comunque,  artefice di differenza… emozionale.

Published by rossiroiss, on agosto 15th, 2012 at 6:47 pm. Filled under: Enzo Rossi-RòissCommenti disabilitati

ALMA MUNDIS GUEST STAR DELLA TORCELLANA 2012 A VENEZI

http://www.facebook.com/media/set/?set=a.10151089845299105.453898.731919104&type=3

La “Torcellana 2012”, raduno annuale de I Antichi sull’isola di Torcello nella residenza al chiuso e all’aperto di Renata Carlotto, è stata realizzata a goduta domenica 29 luglio da numerosi partecipanti d’ambo i sessi e di ogni età, tutti rigosamente abbigliati da indumenti bianchi, per il sesto anno consecutivo dal 2007: anno del suo concepimento in concomitanza con l’esposizione sul prato della Carlotto dei due maxidadi iconovulvati della Vulveide in Laguna (fotografati dal satellite), performance espositiva di Enzo Rossi-Ròiss in Campo San Maurizio durante il periodo carnevalesco
Il “Reading su l’herbe” annunciato ha avuto per protagonisti il giovane poeta Alessandro Burbank (sperimentato dicitore di versi propri) e i meno giovani Luca Colferai e Enzo Rossi-Ròiss che hanno letto (alternandosi) testi di Dante Aligheri, Giosuè Carducci e Giovanni Pascoli (il primo), Tonino Guerra, Lawrence Ferlinghetti e Friedrich Nietsche (il secondo). Dopo una sorprendente e intrigante performance sciamanica mimo-neniata di Anima Mundis (Gabriella nel registro anagrafico) abbigliata soltanto da verzurosità del luogo appositamente recisa.

Published by rossiroiss, on agosto 2nd, 2012 at 8:01 am. Filled under: Enzo Rossi-RòissCommenti disabilitati

DELLA ARTIFICAZIONE VETRARIA MURANESE PRATICATA E PERSEGUITA DA EGIDIO COSTANTINI CONDUCATOR DELLA FUCINA DEGLI ANGELI RICORDATA DA SILVANO BELARDINELLI

Postato in: http://lampisterie.ilcannocchiale.it/post/2749240.html

The Venice Internazional Foundation, news letter n.26, luglio 2012, ha notiziato (p. 34) l’expo del Museo del Vetro di Murano intitolata “Vetro contemporaneo: il futuro oltre la trasparenza” (7 luglio – 30 settembre) senza specificare che tale expo è stata realizzata per omaggiare familisticamente, nell’anno centenario della sua nascita, Egidio Costantini fondatore della Fucina degli Angeli. La stampa quotidiana veneziana l’ha soltanto notiziata approssimativamente pastonando il comunicato stampa ufficiale, senza virgolettare gran chè dei testi pubblicati nel catalogo.

Nessuno l’ha colta al volo come occasione per dissertare della artificazione vetraria praticata e perseguita da Egidio Costantini con l’intenzione di costituire un deposito di bellezza possibile, generatrice di emozioni e piacere, conseguita eccellendo alle prese con la tecnica e il virtuosismo dei maestri vetrai muranesi: della artificazione che trasforma una pratica artigianale in arte e un praticante artigiano in artista, esemplificabile con opere modellate per dare corpo vetroso a forme pensate e disegnate, schizzate o abbozzate, su superfici cartacee da mani d’artisti.
Nè mi risulta sia stata approcciata criticamente, con intenti filologici, da alcuno/a glassologo/a dotato/a di conoscenza o competenza specifica per  riesaminare il meglio separato dal peggio dell’oggettistica vetrosa logotipata Fucina degli Angeli, inventariando i meriti e i demeriti del suo fondatore e conducator, a prescindere dalla bio-agio-grafia webizzata con l’imprimatur del parentado (sia generato sia acquisito) ed editata con ambigue reticenze (anche visuali) in vari cataloghi. Nessuno l’ha colta al volo per registrare e semantizzare, col supporto di documenti inediti, la memoria di testimoni d’antan, collaboratori del Costantini e co-artefici di alcune iniziative produttive pionieristiche ed eventi espositivi avventurosi. Come esemplifico qui di seguito zibaldoneggiando la testimonianza di Silvano Belardinelli, cittadino veneziano nato nel 1942 nel Sestiere Cannaregio dove ha la residenza, che di Egidio Costantini fu collaboratore creativo multiruolato, già poco più che ventenne: autore di opere vetrose e curatore di expo proposto dal pittore Raul Schultz (1931-1971), divenuto marito di una cittadina giapponese nel 1994 e abile artefice di rapporti fertili tra la Fucina degli Angeli e il Giappone (dove ha cominciato nel 1966 a soggiornare ininterrottamente fino al 1970, continuando a soggiornarvi, soggiornando anche ad Anversa e in India, con periodici ritorni a Venezia fino al 1999, fruttuosamente rapportato a prestigiosi artisti giapponesi).

1963 Esposizione della Fucina degli Angeli in una galleria di Basilea, allestita e curata da  Silvano Belardinelli che non ricorda il nome della galleria né del gallerista: lo ricorda come mercante di Picasso in tale città e che di tanto in tanto veniva a Venezia per comperare qualche pezzo di Egidio.
“Ci siamo recati a Basilea in macchina con Egidio e Attilio Sinagra, non ricordo bene se l’auto sia stata guidata da Attilio Sinagra o da un autista, ma forse mi pare di ricordare un autista. Attilio Sinagra, italo-americano del New Jersey, era un artista illustratore iperfigurativo che poi curerà i rapporti tra Egidio e la galleria Weintraub di New York, gestita dal mercante di Mark Rothko (1903-1970) che successivamente Egidio incontrerà, accreditato appunto dal rapporto con questa galleria, senza concludere alcunché”.
Il Belardinelli ricorda che, tornato a Venezia da N. Y., Egidio gli si manifestò molto turbato dall’incontro col Rochtko e gli disse: ” Mi ha dato l’ impressione di uno che pensa ogni giorno di togliersi la vita”. Come è poi accaduto.
Fisicamente consumato e malato da lungo tempo di depressione, nel primissimo mattino del 25 febbraio 1970 Mark Rothko si suicidò nel suo studio di New York, recidendosi le vene del polso sinistro e, con un taglio più profondo, quelle del braccio destro assieme con l’arteria, ed intossicandosi con due flaconi di barbiturici (idrato di cloralio). Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.
Una immagine fotografica (copyright Belardinelli) illustra ed esemplifica la qualità estetica dei vetri esposti dalla Fucina degli Angeli a Basilea nel 1963. In primo piano il “Ciclope” di Jean Cocteau P. / A. e una figura di André Verdet. Dietro, una figura di Jean Lurcat, (Dieu Baal, opera n. 36 nell’ elenco Mostra Ca’ Giustinian). A sinistra, sempre di Jean Lurcat s’intravede una parte dell’ opera “Gallo”.
L’uso del plexiglass assemblato con il vetro, allora, fu considerata una vera e propria innovazione che aprì le porte a nuove possibilità creative.

1964 – IX Mostra Internazionale del Vetro, dal 21 giugno al 29 luglio, a Venezia. Una mini-affiche formato cm.14,5×21,5, la documenta a futura memoria, propagandata anche da un grande manifesto del tipo formato “Elefante” con l’ immagine di un’ opera di J. H. Arp in nero e blu “La papera” (chiamata dalla equipe Costantini, in realtà erano forme armoniche), simbolo della Fucina degli Angeli prima della “Stella”.
“Non risulta nella mia memoria alcun ricordo di catalogo, non c’ erano soldi, ma potrei anche sbagliarmi”, ricorda Silvano Belardinelli.
Di fatto fu  questa la mostra “clou”, la prima e vera grande mostra internazionale e di grande caratura artistica della Fucina degli Angeli. I giochi cominciarono a risultare fatti e la Fucina cominciò a intravedere  il suo Zenit espressivo, dotata di una stupefacente collezione di opere realizzate d’aprés bozzetti d’artisti di grande significato e valore. Così elencati in ordine alfabetico con tra parentesi la quantità delle opere in esposizione: Arman (1), J. H.Arp (10), S. Belardinelli (1), A.V. Bergmann (1), F. Bret (1), A. Clavè (2), J. Cocteau (3), R. Dauphin (2), M. Ernst (9), Y. Klein (2), Le Corbousier (1), J. Lurcat (1), D. Martens (1), P. Picasso (2 – un figura più una composizione di 12 ninfe e fauni), E. Pignon (2), A. Verdet (2).
Per l’allestimento di tale mostra fu concessa (faticosamente) dall’Assessorato al Turismo, la “Sala degli Specchi” di Ca’ Giustinian: una sala sporca e inutilizzata, disadorna e con i muri scrostati. Tale sala fu concessa per la durata che si legge nel manifesto, a cominciare da un giorno prima dell’ inaugurazione, ma senza le chiavi di accesso. Quindi dopo la chiusura degli uffici, alle ore 18 pomeridane, molti amici di Campo S. S. Filippo e Giacomo, vi si autosegregarono per tutta la durata della notte, fino al giorno dopo, provvisti di stucco da muro, paletta e pittura bianca per riparare il riparabile ed eseguire l’allestimento. L’inaugurazione fu regolare. Peggy Guggenheim, giunse a bordo della sua gondola in compagnia di Alfred Hamilton Barr jr, il mitico direttore del Museum of Modern Art di New York City”.
Da Ca’ Giustinian l’expo fu, poi, trasferita nella cosìdetta “Sala Africana” della casa di Peggy Guggenheim, dove furono vendute molte opere. Curatore a Ca’ Giustinian e nella residenza di Peggy Guggenheim: Silvano Belardinelli. L’occasione favorì l’organizzazione della stessa esposizione al Museo d’Arte Moderna di New York. Il 1964 è, anche, l’anno della esposizione alla Galleria del Naviglio di Carlo Cardazzo a Milano (in dicembre). Presenti: Lucio Fontana, Emilio Scanavino, Luciano Minguzzi, uno dei fratelli Pomodoro, Roberto Crippa, Enrico Castellani. Dopo l’inaugurazione tutti a cena in un ristorante semiterrato in via dell’Annunciata con  aggregati E. Castellani e Gustavo Boldrin. “Si finì la serata in un locale vicino al Bar Giamaica di via Brera. Prsenti: Egidio Costantini, Federico Castellani (critico del Gazzettino), Enrico Castellani (Artista), Gustavo Boldrin (artista)”, ricorda Silvano Belardinelli.

1965 – E’ l’anno della mostra alla Galleria Dell’Obelisco a Roma (dal 7 al 31 luglio in Via Sistina 146), promoter Gasparo del Corso, personaggio di spicco del mondo dell’ arte, amico di Peggy Guggenheim, mercante di Lucio Fontana, Giuseppe Capogrossi e tanti altri. Per l’ occasione furono realizzate alcune opere vetrose d’aprés maquettes di Capogrossi, ma l’esperienza non fu continuata perché mancò l’empatia necessaria tra Costantini e Capogrossi.
Presenti all’ inaugurazione: Peggy Guggenheim, Irene Brin, Giuseppe Capogrossi e tanti altri. Dopo l’ inaugurazione si cenò nel noto ristorante “Da Meo Patacca”. Tale cena è documentata da foto nelle quali il Costantini è con Peggy Guggenheim, Gasparo Dal Corso e altri.
Come si può leggere nella locandina, la mostra risulta annunciata in partenza per essere replicata a New York nel Museum of Modern Art. Il 1965 è anche l’anno in cui Egidio Costantini cambia il logo della Fucina e adotta definitivamente la “Stella” di J. H. Arp.

1966 – E’ l’ anno del riconoscimento internazionale della Fucina degli Angeli come star produttiva e propositiva  dell’arte vetraria muranese. E’, anche, l’anno della partenza (in settembre) di Silvano Belardinelli per il Giappone. Dopo un lungo viaggio in nave, arrivò a Yokohama alla fine di ottobre. Un mese dopo ricevette una lettera dal Costantini con le informazioni relative ai danni causatigli dall’ acqua alta il 4 novembre. Altre lettere gliele scrisse per informarlo che, rimosso il trauma subito, aveva cominciato  a impegnarsi sempre più nel recupero dell’attività produttiva creando nuove opere. In particolare gli scrisse per informarlo dell’intenzione di completare la realizzazione della grande scacchiera di Max Ernst (L’Immortale) , per la quale aveva già realizzato il “Re” e la “Regina”, opere di eccezionale bellezza secondo Belardinelli, non come la scacchiera completata.

1969 –  Egidio Costantini scrisse dall’America una lettera entusiasta indirizzata a Silvano Belardinelli, oramai in Giappone da tre anni, per informarlo che Mark Tobey aveva parlato della Fucina a Paul Jenkins, il quale si era recato subito a Venezia per incontrarlo. Amore a prima vista, finalmente aveva  stabilito rapporti con
l’artista giusto, desideroso di esprimere e realizzare opere vetrose con la massima libertà creativa.
”Immediatamente diedero alla luce una notevole quantità di opere. Paul Jenkins fece in modo, poi, di far arrivare Egidio in America per creare alcune opere sul posto, come si può dedurre da documenti in mio possesso.  La busta con il nome del destinatario (io) purtroppo è andata perduta, ma il contenuto visibile è tale e quale quello, incluso uno spillo fermafogli. Le correzioni con pennarello verde e la spillazzione dei fogli sono state eseguite dal Costantini”, ricorda e sostiene quarant’anni dopo il Balardinelli.  Esibendo un ritaglio giornalistico, datato 23 novembre 1969, del quotidiano “Sunday Gazette-Mail” con un testo di Mary Walton intitolato “Paintings In spire Glass Art”, corredato da una illustrazione nella quale il Costantini risulta fotografato con Alessandro e Roberto Moretti maestri vetrai in corso d’opera. Più due messaggi autografi dei quali riproduco i testi qui di seguito.
1) – Nel West Virginia e nella città di Huntington ho ottenuto un successo enorme. Ho eseguito 5 sculture di Jenkins (una di Sinagra) e tutte le stazioni televisive americane hanno trasmesso per 20 minuti la ripresa del mio lavoro. Le opere le ho donate al Museo d’Arte di Huntington.
2) – In Italia si sono svegliati. Tutte le riviste più qualificate stanno approntando servizi a colori sulla Fucina. La RAI-TV presto monta un film su di me di 45 minuti. Lo Stato (Pubblica Istruzione) ha già preparato un servizio per le scuole, cinematografi, enti culturali e per l’Italia e per l’estero (il tutto a colori).

1970 – E’ l’anno del ritorno di Silvano Belardinelli a Venezia (in ottobre): portò con sè progetti e idee dei maggiori artisti giapponesi che avevano operato durante il mitico decennio 1960/70, determinando notevoli cambiamenti per quanto riguarda le visioni del mondo intero in ogni ambito. E’ anche l’anno in cui Egidio Costantini chiese al Belardinelli  di ritornare a Venezia. Durante una delle notti giapponesi lo chiamò e gli comunicò che aveva prenotato un volo per un determinato giorno.
Tornare a Venezia, però, non era nei programmi esistenziali del Belardinelli. Ma, si disse: “Sia fatta la volontà di egiDio!”. Sarebbe partito, dopo averne parlato con il suo migliore amico, Narita Katsuhiko, compagno di tante avventure artistiche e di mostre fatte assieme: l’amico che sarebbe stato, poi, uno dei maggiori esponenti fondatori del gruppo internazionalmente noto col nome “Monoha” (Oggettivismo).
Incontrò Narita e gli parlò per rassicurarlo che tornava in Italia, ma senza l’intenzione di abbandonare il Giappone che oramai considerava come il suo Paese: tanto che per far ciò considerava opportuna la creazione di un ponte relazionale, proponendo ai maggiori artisti giapponesi che avevano operato durante il periodo di tempo che aveva vissuto in Giappone, quindi nel periodo di maggior rinnovo dell’arte giapponese, gli anni ‘60/’70, di formulare idee o concetti di trasparenza, da visualizzare con un linguaggio materico a loro sconosciuto, la materia vetrosa: assicurandoli che in coppia con Egidio Costantini avrebbe operato per far tradurre in vetro i loro concetti. Il tempo, però, era poco e per tal motivo sarebbe stato problematico avvicinarli tutti: conosceva i loro nomi e le opere, ma non li conosceva di persona.
“Ok”, disse Narita, “il progetto è interessantissimo. Ci penso io a farti aprire le porte rapidamente per l’accesso nei loro atelier e negli atelier di  tutti gli artisti che mi indicherai”. Il giorno dopo Narita e Belardinelli si recarono alla ” Tokyo Gallery”, che era anche la galleria di Narita, per parlare con il titolare, il Sig. Yamamoto, e convincerlo ad accreditarli presso gli artisti suoi affiliati, che erano quasi la metà. Furono accolti con la massima benevolenza e li invitò a casa sua a cenare con la sua famiglia, concedendo loro carta bianca e il massimo appoggio personale. Dopodichè i due contattarono la “Minami Gallery” per comunicare con gli altri artisti. In quel momento non esistevano artisti indipendenti in Giappone. Il sistema delle arti figurative nazionali era costituito da due galleria pilota: la “Tokyo Gallery”  e la “Minami Gallery”. Il resto delle gallerie del paese intero dipendevano da loro, tanto che era legge nel mondo dell’arte, ciò che queste proponevano o indicavano,
A questo punto il gioco fu vinto e si spalancarono tutte le porte. Nel giro di una quindicina di giorni il Belardinelli raccolse i progetti di 12 artisti, alcuni dei quali notoriamente inavvicinabili e fra i maggiori, in quel momento.
Per citare un aneddoto di quanto questa idea di creare opere plastiche vetrose suscitò interesse in Giappone, basti sapere che Jiro Yoshihara fondatore e animatore dell’ ancor più celebre gruppo “Gutai” (”Il Concreto”), squisito gentiluomo anche di chiara fama economica oltre che artistica, incontrato alla “Tokyo Gallery” e discussa la questione, dopo che il Sig. Yamamoto terminò di esporre il progetto, si alzò e si diresse all’ aeroporto di Haneda per volare a Osaka dove risiedeva, e tornò il giorno dopo a Tokyo con 5 bellissime “guache” (la riproduzione di una delle quali sarebbe stata adottata, poi, come icona del manifesto della mostra).
”Ero gongolante – ricorda il Berardinelli quaranta e più anni dopo – Ritornato a Venezia, quando mostrai a Egidio i progetti fu gongolante anche lui. Con un sol colpo di mano avevamo conquistato il Giappone. Sopratutto perché, in quel momento storico, le opere proposte dagli artisti giapponesi risultavano assolutamente incomparabili con i parametri culturali europei, molto “dray”, talvolta paradossali e “nonsense”. Quasi tutte non erano costituite da un “unico compatto”, perché richiedevano la modellatura di elementi smembrati presupponendoli accumulabili successivamente. Ricordo che ci furono difficoltà nella realizzazione perché gli artigiani maestri vetrai, per educazione professionale, erano abituati a vedere una forma: nelle guaches dei giapponesi, invece, la forma non risultava raffigurata. Era tutto abbozzato e concettualizzato. Si sarebbe vista solo il giorno dell’ inaugurazione. Una esplosione di luce, un “Satori abbagliante”. Di questo risultato, a posteriori, bisogna dar merito a Narita Katsuhiko che seppe, con lungimirante attenzione, accompagnare Silvano Belardinelli nella scelta degli artisti che, convenientemente attivati e stimolati, avrebbero dato luogo all’effetto finale prefigurato dagli stessi.
Il 1970 e il 1971 furono due anni di intenso lavoro e di duro impegno economico da parte di Egidio Costantini che ci credette fino in fondo. Ma sopratutto rivelò la sua grande capacità di leggere dentro “Progetti-Ideogramma” dei giapponesi, fino a far esclamare un giorno al Belardinelli, mentre si stava pianificando l’esecuzione di un’opera col maestro vetraio Loredano Rosin: “…ma Egidio tu parli giapponese!”.

1972 -  Nella sede dell’ ex cassa cambiali della Cassa di Risparmio di Venezia, di fronte all’ Hotel Bonvecchiati ( anche là, come 8 anni prima a Ca’ Giustinian le Istituzioni Veneziane mostrarono il loro volto gretto con vessazioni e arroganze), il 10 giugno fu inaugurata “ITINERARI GIAPPONESI” (durata fino al 30 settembre), una mostra pregiudizialmente considerata da tutti una incognita, se non una chimera. Fu un successo assoluto, invece, e le opere, osannate dalla critica, luccicarono una nuova bellezza proveniente da lontano. Curatela della mostra “ITINERARI GIAPPONESI” e progetto grafico: Silvano Belardinelli. Broshure con testi di Tono Yoshihaki e Nicola de Csillaghy. Opere in esposizione di: Ito Takamichi, Ito Takayasu – Joshiara Jiro, Maeda Josaku, Miki Tomio, Narita Katsuhita, Omura Mikuni, Saito Yoshishighe, Sekine Nobuo, Shinohara Ushio, Sugimata Tadashi, Tadanori Yokoo, Jakamasu Jiro, Yamaki Takahaki, Yamaguchi Katsuhiro. Fu una grande inaugurazione. Presenti Shintaro Tanaka (Tokyo Gallery), Keiji Usami (Minami Gallery), i due artisti che rappresentavano il Giappone alla Biennale, Tono Yoshihaki commissario per il padiglione giapponese (nonchè maggior critico d’arte, allora, nel suo Paese e autore della presentazione per “ITINERARI GIAPPONESI”),  tutto lo staff della “Tokyo Gallery”,con moglie e figlia a seguito del titolare, Kusuo Shimizu proprietario della “Minami Gallery” (arrivato direttamente da Parigi con un sacchetto di plastica contenente, avvolto in un foglio di giornale, un Maurice Utrillo colà acquistato e che la sera stessa dell’ inaugurazione prenotò la mostra per Tokyo). Tale progetto non fu realizzato, poi, per delle ragioni rimaste non specificate da entrambe le parti in causa.
Ritornato in Giappone Il critico Tono Yoshiaki pubblicò su “GQ”, importante rivista d’ arte edita da un’influente personaggio della cultura Giapponese, il suo resoconto sulla 36a Biennale di Venezia, indicando la via culturale da seguire in un lungo articolo dove scrisse delle cose a cui è il caso di porre la massima attenzione. Oltre agli artisti Shintaro Tanaka e Keiji Usami che rappresentarono il Giappone in quella Biennale, indicò Mario Merz, Germano Oliveto, Jan Dibbet, Gelhard Richter, Joseph Beuys, Edward Rusha, Jannis Kounnellis, ma sopratutto l’operazione vetro generata dalle concezioni giapponesi.  Gli artisti giapponesi considerarono privilegio l’essere stati invitati a creare opere per l’arte vetraria veneziana (anche contestualmente alla sua storia) e muniti di un passaporto in regola per l’accesso a un mondo fino ad allora sconosciuto. Fu il seme che fece germogliare la cultura dell’arte vetraria nel territorio giapponese.

Belardinelli dixitPer spiegare meglio. Se il punto più alto di una piramide esclama: “Sta sorgendo il Sole”, questa esclamazione si propaga e si dilata verso la base che è di miriadi di punti che diranno all’unisono come un boato: “Sta sorgendo il sole”. In Giappone funzionava così e forse ancora oggi. Fatto sta che questa operazione fu il seme che generò un megacommercio miliardario del vetro veneziano, cambiando anche sostanzialmente la cultura e il modo di percepire il vetro artistico in  Giappone. Tanto che, se non erano le opere d’ arte moderna ad attirare anche il comune e più sprovveduto acquirente ma, in gran parte, attiravano attenzioni le creazioni tradizionali del vetro di Murano, perché erano più luogo comune, meno inquietanti, più abbordabili, (ciononostante resta che era fiorito in una gran massa di persone fortemente l’ interesse per questa materia come evoluzione culturale) fu anche una megaoperazione culturale quindi. Questo lo si deve al breve di Tono Yoshiaki , alla  mostra Itinerari Giapponesi e sopratutto alla Fucina degli Angeli di Egidio Costantini che ha creduto a tutto ciò e, con un’abile mossa, ha acceso una luce dall’altra parte del mondo.
Le opere vetrose degli artisti giapponesi furono esposte successivamente in vari altri luoghi. Al “Palazzo dei Diamanti” di Ferrara e nella meravigliosa sala a vetrate che dà sulla Valle Giulia dell’ Istituto Di Cultura Giapponese in Roma, per l’interessamento del dott. Iseki Masaaki, che successivamente sarebbe stato nominato Direttore di tale Istituto, e che, rientrato in Giappone, avrebbe ricoperto la carica di direttore dello Hokkaido Modern Art Museum” e di Direttore del prestigioso “Tokyo Metropolitan Teien Art Museum”. Sempre attivamente interessato affinché le stesse opere approdassero in un luogo di prestigio. Poiché il Masaaki capì subito l’importanza di tale operazione che andava ben oltre le piccole, meschine e patetiche operazioni di mercato, poichè risultava concepita dalla Fucina degli Angeli i cui orizzonti parevano irraggiungibili da altri e comprensibili da pochi. Perché era uno straordinario concetto di Umanità che agitava Egidio Costantini e non il mercato “i schei”. Comunque…alcune opere come “Udire” di Tomio Miki sarebbero state esposte al Museo d’ Arte Moderna di Tel Aviv in Israele, per approdare dopo 20 anni al Museo del Vetro di Notojima in Giappone.

1979 -  E’ l’anno di pubblicazione del primo catalogo monografico della Fucina degli Angeli, edito a Bologna dalla Fotometalgrafica Emiliana, con una presentazione di Carlo della Corte e testimonianze bibliografiche di Autori Varii, precedute sul retro del frontespizio dai nomi di tutti i componenti l’Organigramma (a futura memoria del ruolo di ognuno): la madrina Peggy Guggenheim in primis, gli amici e consiglieri, i collaboratori artistici, i maestri vetrai, i consulenti, i collaboratori tecnici, i fotografi. Un catalogo recensito, poi, da me per la rivista “Questarte” dell’agosto 1980.

1993 – E’ l’anno di pubblicazione della bio-agio-grafia intitolata “Vetro,un amore” di Maria Antonietta Serena e Nino Berruti, pubblicata dalle Edizioni ARCA di Trento. A pag. 139 si può leggere il brano che segue.
Un gruppo di turisti con gli occhi a mandorla si era fermato sul Ponte della Paglia a fotografare il Ponte dei Sospiri. Egidio li guardò con tenerezza: l’amore che gli aveva instillato suo padre per l’Oriente, rafforzatosi con l’unione di Maddalena (figlia) con Mikuni l’aveva spronato a rendere omaggio al Paese del Sol Levante attraverso una rassegna di artisti giapponesi. Era stata quella l’unica volta in cui aveva tradotto un disegno senza prima indagare lo spirito dell’autore. La possibilità gli era stata fornita da Silvano Belardinelli. Quando Egidio aveva cominciato, a metà degli anni Cinquanta, la sua avventura, si era trovato solo in fornace e solo anche a doversi occupare delle pubbliche relazioni, degli allestimenti espositivi, delle pratiche commerciali e burocratiche. “Ti fornisco io un bravo giovane che ti dia una mano a Murano e ti permetta di occuparti con più calma della galleria “ gli aveva proposto Raul Schultz, un pittore prematuramente scomparso, presentandogli Belardinelli, il quale si era rivelato subito un prezioso collaboratore perchè capiva come agire davanti al fuoco quando il vetro era ancora una massa duttile. Per anni avevano lavorato fianco a fianco stimandosi reciprocamente e quando Silvano parlava di quella che era diventata la sua idea fissa, andare in Giappone per apprendere l’arte, la cultura e la filosofia Egidio fingeva di non sentire. Ad un certo punto però gli era venuto uno scrupolo e ne aveva discusso con Lucio Fontana. “Se vuole andare io non devo intralciarlo perché se lo trattengo rischio di plagiarlo. E’ un ottimo artista che può e deve camminare da solo”. La condizione per aiutarlo a partire era stata quella di procurare alla Fucina disegni di pittori e scultori giapponesi.

ANNOTAZIONE OPPORTUNA
Il rapporto del Costantini col Belardinelli non ha avuto inizio “a metà degli anni Cinquanta…”, ma all’inizio degli anni Sessanta (il Belardinelli risulta nato nel 1942). Il critico d’arte giapponese Tono Yoshiaki, recensendo per la rivista giapponese GQ1 l’esposizione “Itinerari Giapponesi” nel 1972 ha scritto che fu Egidio Costantini a inviare Silvano Belardinelli in Giappone, ma ciò non corrisponde al vero. Il Costantini, invece, scoraggiò tale viaggio tramite Lucio Fontana e Peggy Guggenheim, e disapprovò il lungo soggiorno giapponese del Belardinelli, fino al giorno del suo ritorno a Venezia con i disegni d’artisti noti giapponesi che generarono le opere per l’expo “Itinerari Giapponesi”, reclamati in restituzione alcuni anni dopo dai giapponesi per appianare talune divergenze relative a un contenzioso e sanare dissapori tra la Fucina degli Angeli e i paladini dell’arte vetraria autoctona nipponica. Ma questo è un argomento per la scrittura di un altro testo.
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Per leggere altro dello stesso autore, stesso argomento, cliccare:
http://lampisterie.ilcannocchiale.it/post/2747096.html
http://www.rossiroiss.it/blog/?p=460

Published by rossiroiss, on luglio 30th, 2012 at 6:08 pm. Filled under: Enzo Rossi-RòissCommenti disabilitati

TORCELLANA 2012 con “Reading sul l’herbe… avec dejeneure”

Domenica 29 luglio TORCELLANA 2012 nella residenza privata di Renata Carlotto a Torcello, organizzata dalla Compagnia De Calza “I Antichi“ a mia cura: dalle ore 10 alle ore 24 no-stop, intitolata “Reading sul l’herbe… avec dejeneure”.
Saranno presenti e protagonisti alcuni storici Compagni De Calza, con giovani artisti d’ambo i sessi impegnati nella realizzazione di un progetto letterario sperimentale che hanno già descritto e “logato“ in più occasioni, assumendo e interpretando ognuno il proprio ruolo di artista (poeta, rapper, cantante, narratore, musicista, visual painter).

Published by rossiroiss, on luglio 24th, 2012 at 1:45 pm. Filled under: Enzo Rossi-RòissCommenti disabilitati

DELLA AVVENTURA DEL VETRO VARIAMENTE MULTINSEDIATA E DOCUMENTATA A VENEZIA

http://lampisterie.ilcannocchiale.it/post/2748189.html

In barba alle iniziative occasionali della Promovetro a sostegno dell’unione vetraria consorziata che dovrebbe far la forza di ogni vetrario singolarmente debole, del teconologico Logixsoftware di Massimiliano Schiavon concepito da Attilio Minafra per logare manumodellati vetrosi muranesi, del pretenzioso Leone di Vetro escogitato dalla Confartigianato per premiare la creatività di artigiani della scrittura (Alberto Toso Fei) e della Scuola del Vetro Abate Zanetti in trasferta vacanziera in Val Bormida nel ruolo di partecipante ad Altare Glass Fest: l’Avventura del Vetro prima che si concluda l’anno 2012, risulterà variamente narrata, illustrata, documentata, monetizzata e insediata a Venezia in più location accessibili col ticket, come mai negli anni trascorsi, comprensibile e fruibile sia dal colto sia dall’inclita.
Nel Museo del Vetro a Murano il passato museificato e l’archetipico stabilmente, con opportune expo tematico-didattiche occasionali (anche occasionate da anniversari et altro): docet l’expo “Vetro Murrino – Da Altino a Murano”, inaugurata il 16 giugno, e “La fucina degli Angeli” di Egidio Costantini che inaugurata il 6 luglio.
Nelle Stanze del Vetro (Camere per Glass),  sull’isola San Giorgio l’arte vetraria dei secoli XX e XXI: docet l’expo “Carlo Scarpa-Venini” che sarà inaugurata in settembre. Un evento espositivo calendariato con al seguito altri dello stesso livello fino al 2021: insediato in 650 metri quadrati e accreditato da un comitato scientifico composto da Giuseppe Pavanello direttore dell’Istituto della Fondazione Giorgio Cini di Storia dell’Arte,  Nico Stringa docente di storia dell’arte contemporanea all’Università Ca ‘Foscari di Venezia, Rosa Barovier Mentasti, Laura de Santillana, Marino Barovier e David Landau. Realizzato in collaborazione con la Fondazione Pentagram Stiftung insediata in Svizzera, il cui scopo statutario è quello di promuovere e sostenere l’arte e la cultura del vetro storici e contemporanei, in particolare a Venezia.
Nelle sale del Palazzo Cavalli Franchetti sessanta creazioni vetrose di Bertil Vallien (nato nel 1938), realizzate presso gli studi svedesi di Kosta Boda,  sia quelle d’uso sia quelle artisticate, disponibili anche tramite Ebay (http://www.ebay.it/sch/i.html?_nkw=bertil+vallien&_sacat=0&_odkw=items&_osacat=0&_trksid=p3286.c0.m270.l1313), protagoniste di una esposizione prodotta e organizzata dal Berengo Studio, occasionalmente collaterale alla 13° Biennale Internazionale dell’ Architettura (28.8 – 25.11.2012).
Sotto le Procuratie Vecchie e Nuove, il portico del Museo Correr, nelle calli e callette limitrofe della cosiddetta Area Marciana, il mercanteggiamento dell’oggettistica vetrosa nei negozietti, compreso un punto vendita mono-prix contiguo al Caffè Lavena, retrostante l’orchestrina (un euro per ogni oggetto singolo), con opere artistiche o artisticizzanti permanentemente esposte e vendute in negozi simil-gallerie d’arte free entrance.

Published by rossiroiss, on luglio 22nd, 2012 at 1:52 pm. Filled under: Enzo Rossi-RòissCommenti disabilitati