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The Venice Internazional Foundation, news letter n.26, luglio 2012, ha notiziato (p. 34) l’expo del Museo del Vetro di Murano intitolata “Vetro contemporaneo: il futuro oltre la trasparenza” (7 luglio – 30 settembre) senza specificare che tale expo è stata realizzata per omaggiare familisticamente, nell’anno centenario della sua nascita, Egidio Costantini fondatore della Fucina degli Angeli. La stampa quotidiana veneziana l’ha soltanto notiziata approssimativamente pastonando il comunicato stampa ufficiale, senza virgolettare gran chè dei testi pubblicati nel catalogo.
Nessuno l’ha colta al volo come occasione per dissertare della artificazione vetraria praticata e perseguita da Egidio Costantini con l’intenzione di costituire un deposito di bellezza possibile, generatrice di emozioni e piacere, conseguita eccellendo alle prese con la tecnica e il virtuosismo dei maestri vetrai muranesi: della artificazione che trasforma una pratica artigianale in arte e un praticante artigiano in artista, esemplificabile con opere modellate per dare corpo vetroso a forme pensate e disegnate, schizzate o abbozzate, su superfici cartacee da mani d’artisti.
Nè mi risulta sia stata approcciata criticamente, con intenti filologici, da alcuno/a glassologo/a dotato/a di conoscenza o competenza specifica per riesaminare il meglio separato dal peggio dell’oggettistica vetrosa logotipata Fucina degli Angeli, inventariando i meriti e i demeriti del suo fondatore e conducator, a prescindere dalla bio-agio-grafia webizzata con l’imprimatur del parentado (sia generato sia acquisito) ed editata con ambigue reticenze (anche visuali) in vari cataloghi. Nessuno l’ha colta al volo per registrare e semantizzare, col supporto di documenti inediti, la memoria di testimoni d’antan, collaboratori del Costantini e co-artefici di alcune iniziative produttive pionieristiche ed eventi espositivi avventurosi. Come esemplifico qui di seguito zibaldoneggiando la testimonianza di Silvano Belardinelli, cittadino veneziano nato nel 1942 nel Sestiere Cannaregio dove ha la residenza, che di Egidio Costantini fu collaboratore creativo multiruolato, già poco più che ventenne: autore di opere vetrose e curatore di expo proposto dal pittore Raul Schultz (1931-1971), divenuto marito di una cittadina giapponese nel 1994 e abile artefice di rapporti fertili tra la Fucina degli Angeli e il Giappone (dove ha cominciato nel 1966 a soggiornare ininterrottamente fino al 1970, continuando a soggiornarvi, soggiornando anche ad Anversa e in India, con periodici ritorni a Venezia fino al 1999, fruttuosamente rapportato a prestigiosi artisti giapponesi).
1963 – Esposizione della Fucina degli Angeli in una galleria di Basilea, allestita e curata da Silvano Belardinelli che non ricorda il nome della galleria né del gallerista: lo ricorda come mercante di Picasso in tale città e che di tanto in tanto veniva a Venezia per comperare qualche pezzo di Egidio.
“Ci siamo recati a Basilea in macchina con Egidio e Attilio Sinagra, non ricordo bene se l’auto sia stata guidata da Attilio Sinagra o da un autista, ma forse mi pare di ricordare un autista. Attilio Sinagra, italo-americano del New Jersey, era un artista illustratore iperfigurativo che poi curerà i rapporti tra Egidio e la galleria Weintraub di New York, gestita dal mercante di Mark Rothko (1903-1970) che successivamente Egidio incontrerà, accreditato appunto dal rapporto con questa galleria, senza concludere alcunché”.
Il Belardinelli ricorda che, tornato a Venezia da N. Y., Egidio gli si manifestò molto turbato dall’incontro col Rochtko e gli disse: ” Mi ha dato l’ impressione di uno che pensa ogni giorno di togliersi la vita”. Come è poi accaduto.
Fisicamente consumato e malato da lungo tempo di depressione, nel primissimo mattino del 25 febbraio 1970 Mark Rothko si suicidò nel suo studio di New York, recidendosi le vene del polso sinistro e, con un taglio più profondo, quelle del braccio destro assieme con l’arteria, ed intossicandosi con due flaconi di barbiturici (idrato di cloralio). Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.
Una immagine fotografica (copyright Belardinelli) illustra ed esemplifica la qualità estetica dei vetri esposti dalla Fucina degli Angeli a Basilea nel 1963. In primo piano il “Ciclope” di Jean Cocteau P. / A. e una figura di André Verdet. Dietro, una figura di Jean Lurcat, (Dieu Baal, opera n. 36 nell’ elenco Mostra Ca’ Giustinian). A sinistra, sempre di Jean Lurcat s’intravede una parte dell’ opera “Gallo”.
L’uso del plexiglass assemblato con il vetro, allora, fu considerata una vera e propria innovazione che aprì le porte a nuove possibilità creative.
1964 – IX Mostra Internazionale del Vetro, dal 21 giugno al 29 luglio, a Venezia. Una mini-affiche formato cm.14,5×21,5, la documenta a futura memoria, propagandata anche da un grande manifesto del tipo formato “Elefante” con l’ immagine di un’ opera di J. H. Arp in nero e blu “La papera” (chiamata dalla equipe Costantini, in realtà erano forme armoniche), simbolo della Fucina degli Angeli prima della “Stella”.
“Non risulta nella mia memoria alcun ricordo di catalogo, non c’ erano soldi, ma potrei anche sbagliarmi”, ricorda Silvano Belardinelli.
Di fatto fu questa la mostra “clou”, la prima e vera grande mostra internazionale e di grande caratura artistica della Fucina degli Angeli. I giochi cominciarono a risultare fatti e la Fucina cominciò a intravedere il suo Zenit espressivo, dotata di una stupefacente collezione di opere realizzate d’aprés bozzetti d’artisti di grande significato e valore. Così elencati in ordine alfabetico con tra parentesi la quantità delle opere in esposizione: Arman (1), J. H.Arp (10), S. Belardinelli (1), A.V. Bergmann (1), F. Bret (1), A. Clavè (2), J. Cocteau (3), R. Dauphin (2), M. Ernst (9), Y. Klein (2), Le Corbousier (1), J. Lurcat (1), D. Martens (1), P. Picasso (2 – un figura più una composizione di 12 ninfe e fauni), E. Pignon (2), A. Verdet (2).
Per l’allestimento di tale mostra fu concessa (faticosamente) dall’Assessorato al Turismo, la “Sala degli Specchi” di Ca’ Giustinian: una sala sporca e inutilizzata, disadorna e con i muri scrostati. Tale sala fu concessa per la durata che si legge nel manifesto, a cominciare da un giorno prima dell’ inaugurazione, ma senza le chiavi di accesso. Quindi dopo la chiusura degli uffici, alle ore 18 pomeridane, molti amici di Campo S. S. Filippo e Giacomo, vi si autosegregarono per tutta la durata della notte, fino al giorno dopo, provvisti di stucco da muro, paletta e pittura bianca per riparare il riparabile ed eseguire l’allestimento. L’inaugurazione fu regolare. Peggy Guggenheim, giunse a bordo della sua gondola in compagnia di Alfred Hamilton Barr jr, il mitico direttore del Museum of Modern Art di New York City”.
Da Ca’ Giustinian l’expo fu, poi, trasferita nella cosìdetta “Sala Africana” della casa di Peggy Guggenheim, dove furono vendute molte opere. Curatore a Ca’ Giustinian e nella residenza di Peggy Guggenheim: Silvano Belardinelli. L’occasione favorì l’organizzazione della stessa esposizione al Museo d’Arte Moderna di New York. Il 1964 è, anche, l’anno della esposizione alla Galleria del Naviglio di Carlo Cardazzo a Milano (in dicembre). Presenti: Lucio Fontana, Emilio Scanavino, Luciano Minguzzi, uno dei fratelli Pomodoro, Roberto Crippa, Enrico Castellani. Dopo l’inaugurazione tutti a cena in un ristorante semiterrato in via dell’Annunciata con aggregati E. Castellani e Gustavo Boldrin. “Si finì la serata in un locale vicino al Bar Giamaica di via Brera. Prsenti: Egidio Costantini, Federico Castellani (critico del Gazzettino), Enrico Castellani (Artista), Gustavo Boldrin (artista)”, ricorda Silvano Belardinelli.
1965 – E’ l’anno della mostra alla Galleria Dell’Obelisco a Roma (dal 7 al 31 luglio in Via Sistina 146), promoter Gasparo del Corso, personaggio di spicco del mondo dell’ arte, amico di Peggy Guggenheim, mercante di Lucio Fontana, Giuseppe Capogrossi e tanti altri. Per l’ occasione furono realizzate alcune opere vetrose d’aprés maquettes di Capogrossi, ma l’esperienza non fu continuata perché mancò l’empatia necessaria tra Costantini e Capogrossi.
Presenti all’ inaugurazione: Peggy Guggenheim, Irene Brin, Giuseppe Capogrossi e tanti altri. Dopo l’ inaugurazione si cenò nel noto ristorante “Da Meo Patacca”. Tale cena è documentata da foto nelle quali il Costantini è con Peggy Guggenheim, Gasparo Dal Corso e altri.
Come si può leggere nella locandina, la mostra risulta annunciata in partenza per essere replicata a New York nel Museum of Modern Art. Il 1965 è anche l’anno in cui Egidio Costantini cambia il logo della Fucina e adotta definitivamente la “Stella” di J. H. Arp.
1966 – E’ l’ anno del riconoscimento internazionale della Fucina degli Angeli come star produttiva e propositiva dell’arte vetraria muranese. E’, anche, l’anno della partenza (in settembre) di Silvano Belardinelli per il Giappone. Dopo un lungo viaggio in nave, arrivò a Yokohama alla fine di ottobre. Un mese dopo ricevette una lettera dal Costantini con le informazioni relative ai danni causatigli dall’ acqua alta il 4 novembre. Altre lettere gliele scrisse per informarlo che, rimosso il trauma subito, aveva cominciato a impegnarsi sempre più nel recupero dell’attività produttiva creando nuove opere. In particolare gli scrisse per informarlo dell’intenzione di completare la realizzazione della grande scacchiera di Max Ernst (L’Immortale) , per la quale aveva già realizzato il “Re” e la “Regina”, opere di eccezionale bellezza secondo Belardinelli, non come la scacchiera completata.
1969 – Egidio Costantini scrisse dall’America una lettera entusiasta indirizzata a Silvano Belardinelli, oramai in Giappone da tre anni, per informarlo che Mark Tobey aveva parlato della Fucina a Paul Jenkins, il quale si era recato subito a Venezia per incontrarlo. Amore a prima vista, finalmente aveva stabilito rapporti con
l’artista giusto, desideroso di esprimere e realizzare opere vetrose con la massima libertà creativa.
”Immediatamente diedero alla luce una notevole quantità di opere. Paul Jenkins fece in modo, poi, di far arrivare Egidio in America per creare alcune opere sul posto, come si può dedurre da documenti in mio possesso. La busta con il nome del destinatario (io) purtroppo è andata perduta, ma il contenuto visibile è tale e quale quello, incluso uno spillo fermafogli. Le correzioni con pennarello verde e la spillazzione dei fogli sono state eseguite dal Costantini”, ricorda e sostiene quarant’anni dopo il Balardinelli. Esibendo un ritaglio giornalistico, datato 23 novembre 1969, del quotidiano “Sunday Gazette-Mail” con un testo di Mary Walton intitolato “Paintings In spire Glass Art”, corredato da una illustrazione nella quale il Costantini risulta fotografato con Alessandro e Roberto Moretti maestri vetrai in corso d’opera. Più due messaggi autografi dei quali riproduco i testi qui di seguito.
1) – Nel West Virginia e nella città di Huntington ho ottenuto un successo enorme. Ho eseguito 5 sculture di Jenkins (una di Sinagra) e tutte le stazioni televisive americane hanno trasmesso per 20 minuti la ripresa del mio lavoro. Le opere le ho donate al Museo d’Arte di Huntington.
2) – In Italia si sono svegliati. Tutte le riviste più qualificate stanno approntando servizi a colori sulla Fucina. La RAI-TV presto monta un film su di me di 45 minuti. Lo Stato (Pubblica Istruzione) ha già preparato un servizio per le scuole, cinematografi, enti culturali e per l’Italia e per l’estero (il tutto a colori).
1970 – E’ l’anno del ritorno di Silvano Belardinelli a Venezia (in ottobre): portò con sè progetti e idee dei maggiori artisti giapponesi che avevano operato durante il mitico decennio 1960/70, determinando notevoli cambiamenti per quanto riguarda le visioni del mondo intero in ogni ambito. E’ anche l’anno in cui Egidio Costantini chiese al Belardinelli di ritornare a Venezia. Durante una delle notti giapponesi lo chiamò e gli comunicò che aveva prenotato un volo per un determinato giorno.
Tornare a Venezia, però, non era nei programmi esistenziali del Belardinelli. Ma, si disse: “Sia fatta la volontà di egiDio!”. Sarebbe partito, dopo averne parlato con il suo migliore amico, Narita Katsuhiko, compagno di tante avventure artistiche e di mostre fatte assieme: l’amico che sarebbe stato, poi, uno dei maggiori esponenti fondatori del gruppo internazionalmente noto col nome “Monoha” (Oggettivismo).
Incontrò Narita e gli parlò per rassicurarlo che tornava in Italia, ma senza l’intenzione di abbandonare il Giappone che oramai considerava come il suo Paese: tanto che per far ciò considerava opportuna la creazione di un ponte relazionale, proponendo ai maggiori artisti giapponesi che avevano operato durante il periodo di tempo che aveva vissuto in Giappone, quindi nel periodo di maggior rinnovo dell’arte giapponese, gli anni ‘60/’70, di formulare idee o concetti di trasparenza, da visualizzare con un linguaggio materico a loro sconosciuto, la materia vetrosa: assicurandoli che in coppia con Egidio Costantini avrebbe operato per far tradurre in vetro i loro concetti. Il tempo, però, era poco e per tal motivo sarebbe stato problematico avvicinarli tutti: conosceva i loro nomi e le opere, ma non li conosceva di persona.
“Ok”, disse Narita, “il progetto è interessantissimo. Ci penso io a farti aprire le porte rapidamente per l’accesso nei loro atelier e negli atelier di tutti gli artisti che mi indicherai”. Il giorno dopo Narita e Belardinelli si recarono alla ” Tokyo Gallery”, che era anche la galleria di Narita, per parlare con il titolare, il Sig. Yamamoto, e convincerlo ad accreditarli presso gli artisti suoi affiliati, che erano quasi la metà. Furono accolti con la massima benevolenza e li invitò a casa sua a cenare con la sua famiglia, concedendo loro carta bianca e il massimo appoggio personale. Dopodichè i due contattarono la “Minami Gallery” per comunicare con gli altri artisti. In quel momento non esistevano artisti indipendenti in Giappone. Il sistema delle arti figurative nazionali era costituito da due galleria pilota: la “Tokyo Gallery” e la “Minami Gallery”. Il resto delle gallerie del paese intero dipendevano da loro, tanto che era legge nel mondo dell’arte, ciò che queste proponevano o indicavano,
A questo punto il gioco fu vinto e si spalancarono tutte le porte. Nel giro di una quindicina di giorni il Belardinelli raccolse i progetti di 12 artisti, alcuni dei quali notoriamente inavvicinabili e fra i maggiori, in quel momento.
Per citare un aneddoto di quanto questa idea di creare opere plastiche vetrose suscitò interesse in Giappone, basti sapere che Jiro Yoshihara fondatore e animatore dell’ ancor più celebre gruppo “Gutai” (”Il Concreto”), squisito gentiluomo anche di chiara fama economica oltre che artistica, incontrato alla “Tokyo Gallery” e discussa la questione, dopo che il Sig. Yamamoto terminò di esporre il progetto, si alzò e si diresse all’ aeroporto di Haneda per volare a Osaka dove risiedeva, e tornò il giorno dopo a Tokyo con 5 bellissime “guache” (la riproduzione di una delle quali sarebbe stata adottata, poi, come icona del manifesto della mostra).
”Ero gongolante – ricorda il Berardinelli quaranta e più anni dopo – Ritornato a Venezia, quando mostrai a Egidio i progetti fu gongolante anche lui. Con un sol colpo di mano avevamo conquistato il Giappone. Sopratutto perché, in quel momento storico, le opere proposte dagli artisti giapponesi risultavano assolutamente incomparabili con i parametri culturali europei, molto “dray”, talvolta paradossali e “nonsense”. Quasi tutte non erano costituite da un “unico compatto”, perché richiedevano la modellatura di elementi smembrati presupponendoli accumulabili successivamente. Ricordo che ci furono difficoltà nella realizzazione perché gli artigiani maestri vetrai, per educazione professionale, erano abituati a vedere una forma: nelle guaches dei giapponesi, invece, la forma non risultava raffigurata. Era tutto abbozzato e concettualizzato. Si sarebbe vista solo il giorno dell’ inaugurazione. Una esplosione di luce, un “Satori abbagliante”. Di questo risultato, a posteriori, bisogna dar merito a Narita Katsuhiko che seppe, con lungimirante attenzione, accompagnare Silvano Belardinelli nella scelta degli artisti che, convenientemente attivati e stimolati, avrebbero dato luogo all’effetto finale prefigurato dagli stessi.
Il 1970 e il 1971 furono due anni di intenso lavoro e di duro impegno economico da parte di Egidio Costantini che ci credette fino in fondo. Ma sopratutto rivelò la sua grande capacità di leggere dentro “Progetti-Ideogramma” dei giapponesi, fino a far esclamare un giorno al Belardinelli, mentre si stava pianificando l’esecuzione di un’opera col maestro vetraio Loredano Rosin: “…ma Egidio tu parli giapponese!”.
1972 - Nella sede dell’ ex cassa cambiali della Cassa di Risparmio di Venezia, di fronte all’ Hotel Bonvecchiati ( anche là, come 8 anni prima a Ca’ Giustinian le Istituzioni Veneziane mostrarono il loro volto gretto con vessazioni e arroganze), il 10 giugno fu inaugurata “ITINERARI GIAPPONESI” (durata fino al 30 settembre), una mostra pregiudizialmente considerata da tutti una incognita, se non una chimera. Fu un successo assoluto, invece, e le opere, osannate dalla critica, luccicarono una nuova bellezza proveniente da lontano. Curatela della mostra “ITINERARI GIAPPONESI” e progetto grafico: Silvano Belardinelli. Broshure con testi di Tono Yoshihaki e Nicola de Csillaghy. Opere in esposizione di: Ito Takamichi, Ito Takayasu – Joshiara Jiro, Maeda Josaku, Miki Tomio, Narita Katsuhita, Omura Mikuni, Saito Yoshishighe, Sekine Nobuo, Shinohara Ushio, Sugimata Tadashi, Tadanori Yokoo, Jakamasu Jiro, Yamaki Takahaki, Yamaguchi Katsuhiro. Fu una grande inaugurazione. Presenti Shintaro Tanaka (Tokyo Gallery), Keiji Usami (Minami Gallery), i due artisti che rappresentavano il Giappone alla Biennale, Tono Yoshihaki commissario per il padiglione giapponese (nonchè maggior critico d’arte, allora, nel suo Paese e autore della presentazione per “ITINERARI GIAPPONESI”), tutto lo staff della “Tokyo Gallery”,con moglie e figlia a seguito del titolare, Kusuo Shimizu proprietario della “Minami Gallery” (arrivato direttamente da Parigi con un sacchetto di plastica contenente, avvolto in un foglio di giornale, un Maurice Utrillo colà acquistato e che la sera stessa dell’ inaugurazione prenotò la mostra per Tokyo). Tale progetto non fu realizzato, poi, per delle ragioni rimaste non specificate da entrambe le parti in causa.
Ritornato in Giappone Il critico Tono Yoshiaki pubblicò su “GQ”, importante rivista d’ arte edita da un’influente personaggio della cultura Giapponese, il suo resoconto sulla 36a Biennale di Venezia, indicando la via culturale da seguire in un lungo articolo dove scrisse delle cose a cui è il caso di porre la massima attenzione. Oltre agli artisti Shintaro Tanaka e Keiji Usami che rappresentarono il Giappone in quella Biennale, indicò Mario Merz, Germano Oliveto, Jan Dibbet, Gelhard Richter, Joseph Beuys, Edward Rusha, Jannis Kounnellis, ma sopratutto l’operazione vetro generata dalle concezioni giapponesi. Gli artisti giapponesi considerarono privilegio l’essere stati invitati a creare opere per l’arte vetraria veneziana (anche contestualmente alla sua storia) e muniti di un passaporto in regola per l’accesso a un mondo fino ad allora sconosciuto. Fu il seme che fece germogliare la cultura dell’arte vetraria nel territorio giapponese.
Belardinelli dixit: Per spiegare meglio. Se il punto più alto di una piramide esclama: “Sta sorgendo il Sole”, questa esclamazione si propaga e si dilata verso la base che è di miriadi di punti che diranno all’unisono come un boato: “Sta sorgendo il sole”. In Giappone funzionava così e forse ancora oggi. Fatto sta che questa operazione fu il seme che generò un megacommercio miliardario del vetro veneziano, cambiando anche sostanzialmente la cultura e il modo di percepire il vetro artistico in Giappone. Tanto che, se non erano le opere d’ arte moderna ad attirare anche il comune e più sprovveduto acquirente ma, in gran parte, attiravano attenzioni le creazioni tradizionali del vetro di Murano, perché erano più luogo comune, meno inquietanti, più abbordabili, (ciononostante resta che era fiorito in una gran massa di persone fortemente l’ interesse per questa materia come evoluzione culturale) fu anche una megaoperazione culturale quindi. Questo lo si deve al breve di Tono Yoshiaki , alla mostra Itinerari Giapponesi e sopratutto alla Fucina degli Angeli di Egidio Costantini che ha creduto a tutto ciò e, con un’abile mossa, ha acceso una luce dall’altra parte del mondo.
Le opere vetrose degli artisti giapponesi furono esposte successivamente in vari altri luoghi. Al “Palazzo dei Diamanti” di Ferrara e nella meravigliosa sala a vetrate che dà sulla Valle Giulia dell’ Istituto Di Cultura Giapponese in Roma, per l’interessamento del dott. Iseki Masaaki, che successivamente sarebbe stato nominato Direttore di tale Istituto, e che, rientrato in Giappone, avrebbe ricoperto la carica di direttore dello Hokkaido Modern Art Museum” e di Direttore del prestigioso “Tokyo Metropolitan Teien Art Museum”. Sempre attivamente interessato affinché le stesse opere approdassero in un luogo di prestigio. Poiché il Masaaki capì subito l’importanza di tale operazione che andava ben oltre le piccole, meschine e patetiche operazioni di mercato, poichè risultava concepita dalla Fucina degli Angeli i cui orizzonti parevano irraggiungibili da altri e comprensibili da pochi. Perché era uno straordinario concetto di Umanità che agitava Egidio Costantini e non il mercato “i schei”. Comunque…alcune opere come “Udire” di Tomio Miki sarebbero state esposte al Museo d’ Arte Moderna di Tel Aviv in Israele, per approdare dopo 20 anni al Museo del Vetro di Notojima in Giappone.
1979 - E’ l’anno di pubblicazione del primo catalogo monografico della Fucina degli Angeli, edito a Bologna dalla Fotometalgrafica Emiliana, con una presentazione di Carlo della Corte e testimonianze bibliografiche di Autori Varii, precedute sul retro del frontespizio dai nomi di tutti i componenti l’Organigramma (a futura memoria del ruolo di ognuno): la madrina Peggy Guggenheim in primis, gli amici e consiglieri, i collaboratori artistici, i maestri vetrai, i consulenti, i collaboratori tecnici, i fotografi. Un catalogo recensito, poi, da me per la rivista “Questarte” dell’agosto 1980.
1993 – E’ l’anno di pubblicazione della bio-agio-grafia intitolata “Vetro,un amore” di Maria Antonietta Serena e Nino Berruti, pubblicata dalle Edizioni ARCA di Trento. A pag. 139 si può leggere il brano che segue.
Un gruppo di turisti con gli occhi a mandorla si era fermato sul Ponte della Paglia a fotografare il Ponte dei Sospiri. Egidio li guardò con tenerezza: l’amore che gli aveva instillato suo padre per l’Oriente, rafforzatosi con l’unione di Maddalena (figlia) con Mikuni l’aveva spronato a rendere omaggio al Paese del Sol Levante attraverso una rassegna di artisti giapponesi. Era stata quella l’unica volta in cui aveva tradotto un disegno senza prima indagare lo spirito dell’autore. La possibilità gli era stata fornita da Silvano Belardinelli. Quando Egidio aveva cominciato, a metà degli anni Cinquanta, la sua avventura, si era trovato solo in fornace e solo anche a doversi occupare delle pubbliche relazioni, degli allestimenti espositivi, delle pratiche commerciali e burocratiche. “Ti fornisco io un bravo giovane che ti dia una mano a Murano e ti permetta di occuparti con più calma della galleria “ gli aveva proposto Raul Schultz, un pittore prematuramente scomparso, presentandogli Belardinelli, il quale si era rivelato subito un prezioso collaboratore perchè capiva come agire davanti al fuoco quando il vetro era ancora una massa duttile. Per anni avevano lavorato fianco a fianco stimandosi reciprocamente e quando Silvano parlava di quella che era diventata la sua idea fissa, andare in Giappone per apprendere l’arte, la cultura e la filosofia Egidio fingeva di non sentire. Ad un certo punto però gli era venuto uno scrupolo e ne aveva discusso con Lucio Fontana. “Se vuole andare io non devo intralciarlo perché se lo trattengo rischio di plagiarlo. E’ un ottimo artista che può e deve camminare da solo”. La condizione per aiutarlo a partire era stata quella di procurare alla Fucina disegni di pittori e scultori giapponesi.
ANNOTAZIONE OPPORTUNA
Il rapporto del Costantini col Belardinelli non ha avuto inizio “a metà degli anni Cinquanta…”, ma all’inizio degli anni Sessanta (il Belardinelli risulta nato nel 1942). Il critico d’arte giapponese Tono Yoshiaki, recensendo per la rivista giapponese GQ1 l’esposizione “Itinerari Giapponesi” nel 1972 ha scritto che fu Egidio Costantini a inviare Silvano Belardinelli in Giappone, ma ciò non corrisponde al vero. Il Costantini, invece, scoraggiò tale viaggio tramite Lucio Fontana e Peggy Guggenheim, e disapprovò il lungo soggiorno giapponese del Belardinelli, fino al giorno del suo ritorno a Venezia con i disegni d’artisti noti giapponesi che generarono le opere per l’expo “Itinerari Giapponesi”, reclamati in restituzione alcuni anni dopo dai giapponesi per appianare talune divergenze relative a un contenzioso e sanare dissapori tra la Fucina degli Angeli e i paladini dell’arte vetraria autoctona nipponica. Ma questo è un argomento per la scrittura di un altro testo.
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