Enzo Rossi-Roiss

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RENDEZ-VOUS ESPOSITIVO A BASSANO

CON MANU’ SIMONCELLI

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Il Centro Culturale “Porta Dieda” di Bassano del Grappa ha ospitato una esposizione personale di Manuela Simoncelli (2-24 febbraio 2008) che suppongo sia stata organizzata dalla pittrice come rendez-vous con i propri estimatori territoriali (studiosi e collezionisti), durante il quale concretizzare interrelazioni foriere di nuovi e più intensi rapporti con ciò che sostanzia la creatività pittorica e la sua promozione mercantile.
La Simoncelli ha la casa e l’atelier a Mussolente (poco distante da Bassano). Ha allestito la sua prima personale nel 1982. Non è un’autodidatta, avendo compiuto studi artistici regolari, prima a Bologna e successivamente a Firenze. Cliccando www.mauelasimoncelli.it è possibile visionare molte sue opere e leggere alcuni testi di letteratura critica che le decodificano, consentendo l’accesso alla deambiguazione di quelle più enigmatiche che sollecitano interpretazioni psico-analitiche non condivise dalla pittrice.

Published by rossiroiss, on marzo 1st, 2008 at 9:40 pm. Filled under: Diario, Enzo Rossi-RòissCommenti disabilitati

CONFINATI NELLA PERIFERIA ROMANA

I “SEGNI” DEI CONFINI ESTETICI DI 25 ARTISTI

Con le opere di 25 Autori (pittori, scultori, fotografi, videoartisti) è stata allestita una esposizione collettiva (10-29 febbraio) in un centro d’arte della periferia romana, denominato Mitreo (via M.Mazzacurati 61/63), raggiungibile dopo aver percorso 14100 metri dalla Stazione Termini, come descritto qui di seguito in un documento dell’ATAC (Agenzia per la mobilità del comune di Roma).
Partenza da Stazione Termini – A piedi per 100 metri, fino alla fermata Termini – Prendere la linea METRO A (BATTISTINI) per 10 fermate METRO a ogni 3 min. – Scendere alla fermata Cornella – A piedi per 100 metri, fino alla fermata C.NE CORNELIA/AURELIA – Prendere la linea 889 (MAZZACURATI) per 25 fermate 889 ogni 12 min. – Scendere alla fermata POGGIOVERDE/TRENTACOSTE – A piedi per200 metri, fino all’arrivo via Marino Mazzacurati, 612 – Metri percorsi 14100.
Ciò significa che l’esposizione ha fatto registrare un consistente numero di “presenze” (artistiche e amatoriali) soltanto durante le poche ore del vernissage, suscitando una debole eco massmediatica, costituita dalla diffusione del comunicato-stampa redatto da chi l’ha organizzata.
Il curatore dell’esposizione, Maurizio Vanni indefesso promoter gregario di mostre collettive tematizzate pro-tesina-esegetica-propria, l’ha intitolata “Segni di confine”: quasi certamente perché allocata surrettiziamente “al di là” della perimetrazione che delimita l’area urbana capitolina nella quale hanno sede le location espositive frequentate dalla promozione che può derivare agli artisti e alla artisticità soltanto intrattenendo rapporti ravvicinati e fertili con curatori leader favoriti del (e dal) cosiddetto “sistema dell’arte”.
Per l’occasione sono state collettivizzate opere di (nell’ordine del comunicato-stampa webizzato): Pittori (Elio De luca, Nino De Luca, Bruno Di Lecce, Gaetano Di riso, Stefania Fabrizi, Paolo Fiorellini, Giuliano Ghelli, Julia Landrichter, Hannu Palosuo, Nicola Perucca, Pupillo, Alfredo Rapetti, Karl Stengel, Lolita Timofeeva). Scultori (Peter Demetz, Eugenio Riotto). Fotografi (Roberto D’Alberto, Patrizia Dottori, Rodolfo Fiorenza, Sara Munari, Carlo Pettinelli, Cristiano Quadraroli, Francesca Ripamonti, Roberto Vignoli). Videoartisti (Claudia Ballesi).

Published by rossiroiss, on febbraio 27th, 2008 at 9:40 pm. Filled under: Diario, Enzo Rossi-RòissCommenti disabilitati

DELL’ARTE DELLA CARTAPESTA

 

ESPOSTA DAL MUSEO DIOCESANO A MILANO

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foto: Statue presepiali policrome in cartapesta genovese della prima metà del sec.XVIII (h. cm.42). Cat. Asta San Marco, Venezia 21 ottobre 2007.

Il cosiddetto “più” è stato fatto, documentato da un libro della Silvana Editoriale, con testi di Autori Vari e riproduzioni di opere rinvenute nel qua e là nazionale ispezionato ad hoc per la cosiddetta bisogna. Cento e più sculture variamente modellate e colorate in epoche e località differenti, da artisti eccellenti e artigiani diligenti, assembrando alla svelta, o per convenienza contingente, carta in fogli a materiali diversi, sono state campionate in una esposizione dal Museo Diocesano di Milano (15 gennaio – 30 marzo 2008), per celebrare “…Sansovino, Bernini e i Maestri leccesi tra tecnica e artificio”, escludendo i Maestri del barocchetto bolognese e i loro emuli e continuatori, Maestri cartapestai della Bottega Dei Graziani a Faenza fino al 1930.
La quantità di cartapesta ( carta pestata!) rilevabile nelle opere esposte modellate in epoca precedente al sec. XVII è alquanto modesta, però, perché c’è tanta stoffa scaiolata o scaiola stoffata, supportata da materiali eterogenei: gesso, stucco, terracotta, paglia, fieno, sughero, bambagia, creta, stoppa, canne, cimatura, legno, fil di ferro, saggina. E’ possibile appurare ciò carotando ognuna delle opere esposte e sottoponendo ogni reperto carotato ad un attento e specifico esame merceologico.
Indicarle come sculture di cartapesta tout-court, perciò, significa assumersi “irresponsabilità” classificatorie a beneficio soltanto della commercializzazione di opere del genere nelle fiere antiquarie. Più opportuno, sarebbe, considerarle opere plastiche polimateriche, perché costituite da un insieme di più materiali, se modellate fino alla fine del 1700 e durante i primi decenni del secolo successivo. Considerandole modellate strutturando carta, più che poltiglia di carta, se d’epoca successiva al 1700. Tutte ”oggetti materiali” artigianali, più che artistici, dipinti perché colorati da dipintori, anzichè pitturati da pittori. Stereotipia plastica a gogò , quindi, realizzata col soccorso di collanti rudimentali autarchici, fino al momento in cui non sono stati disponibili altri collanti alternativi
Paolo Biscottini, direttore del Museo Diocesano milanese, ha scritto: ”Siamo consapevoli dei limiti entro cui ci siamo mossi, come la scarsità di studi sistematici sull’argomento”. In buona fede, quasi certamente: perchè i suoi collaboratori leccesi non gli hanno fornito i miei due libri “Cartapesta & Cartapestai” (1983) e “Cartapesteide” (2006), elencati nella bibliografia senza il nome della casa editrice e col nome del luogo di edizione sbagliato (il primo), senza il nome della casa editrice il secondo. Libri-dossier imbarazzanti (scomodi) per i cartapestologi e i cartapestofori leccesi, scritti da un autore che dell’arte della cartapesta ha cominciato a scrivere nel 1959: contenitori di testi che Caterina Ragusa ha trascritto e assemblato per laurearsi e ruolarsi cartapestolga, fino a meritare l’assunzione di una carica dirigenziale presso la Soprintendenza per il Patrimonio Storico e Artistico delle tre province salentine.
Siccome mi è stato detto che l’esposizione milanese sarà replicata a Lecce, suggerisco di completarla con qualcuna delle opere modellate a Bologna e a Faenza, tema iconografico di una esposizione fotografica pronta per essere allestita.

Published by rossiroiss, on febbraio 25th, 2008 at 5:34 pm. Filled under: Diario, Enzo Rossi-RòissCommenti disabilitati

IL PERFORMER CECCHINI NOTO SOLTANTO A SE STESSO

DURANTE I SUOI PRIMI CINQUANT’ANNI
SI E’ DATA E CONTINUERA’ A DARSI VISIBILITA’ MASSMEDIATICA
CONFORMANDO IL FUTURISMO ALLE PROPRIE VEDUTE
COL PROPOSITO DI DARSI CLIENTI NEL MERCATO DELL’ARTE

In coincidenza con l’esposizione d’arte “Italia picta in Latvia” di Ilze Jaunberga a Firenze, nello Storico Caffè Giubbe Rosse, il postpost-futurista Graziano Cecchini di Roma ha contestato il passaggio del tram in Piazza Duomo  con una performance  presente il critico d’arte Vittorio Sgarbi e una folla di giornalisti inviati dai media web e cartacei. Foto e video in: www.futurzig.it.
Aldo Palazzeschi, scrittore fiorentino nato nel 1885 e morto nel 1974  , futurista con Marinetti nel 1909, nel suo romanzo intitolato “Il Doge” del 1967 ha scritto:Dovendo noi considerare a cuor pacato non essere l’uomo opera di un geometra e tanto meno di un ragioniere, ma in maniera esclusiva attraverso un maschio ed una femmina del Signore, il quale ama la varietà delle cose e l’originalità delle sorprese, tanto da non esistere una sua legge che non abbia l’eccezione (…) esistono esemplari che hanno la specialità di ridurre anche le cose immense al minimo comune denominatore, conformandole al loro sentire e alle loro vedute, alle proporzioni del loro cervello di galline, riducendo il blocco del Montebianco un sassolino da mettere in una tasca del gilet (…)
Graziano Cecchini nato nel 1953, noto soltanto a se stesso durante i suoi primi cinquant’anni, privo di un curriculum scolastico ed espositivo  meritevole di essere esibito, non ha letto il libro del Palazzeschi ed ha poco letto anche i libri che hanno per argomento il futurismo storico e i suoi protagonisti. Ha deciso di attivarsi come performer sedicendosi “futurista” per far parlare e scrivere di sé, prima di esporsi come dipintore di oggetti materiali prodotti per essere mercificati dai suoi sponsor urbi et orbi, posibilmente a caro prezzo.
Vittorio Sgarbi lo ha definito “un manierista del futurismo”, non considerando “arte” la colorazione dell’acqua di Fontana di Trevi, le palline rotolanti sulla scalinata di Trinità dei Monti e le quattro modelle (ricche di anni giovani, più che di avvenenza naturale conclamata) dipinte ed esibite nelle sale del Caffè Giubbe Rosse: poiché l’arte è tale soltanto quando cambia la percezione della natura delle persone, delle emozioni e degli eventi che connotano (modificandola) la contemporaneità dell’artista.

CECCHINI

Published by rossiroiss, on febbraio 25th, 2008 at 5:22 pm. Filled under: Diario, Enzo Rossi-RòissCommenti disabilitati

SI RAVVEDA LA CURIA ARCIVESCOVILE DI PIACENZA

PER L’AVVISO RIPRODOTTO
QUI DI SEGUITO E MANIFESTI URBI ET ORBI IL PROPRIO PENTIMENTO CON
E-MAIL  INDIRIZZATA  A OGNI INTERESSATO A RICEVERLA

DECRETO DEL SANTO UFFIZIO

Published by rossiroiss, on gennaio 26th, 2008 at 3:35 am. Filled under: Diario, Enzo Rossi-RòissCommenti disabilitati

DEI SANTINI MASSMEDIA DELLA CHIESA POST TRIDENTINA

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I Santini sono quelle immaginette che da secoli “…fan da tramite tra le genti semplici e il Cielo”. Sono quei rettangolini di carta che “…emettono particolari messaggi pubblicitari religiosi per i loro tipici modi di comunicazione double-face”: strumenti di propaganda religiosa (catechesi!) che la Chiesa cattolica ha utilizzato e continua a utilizzare per supportare la sua ideologia. Ma sono anche “cimeli” collezionati da amatori in così gran numero che a qualcuno (Gennaro Angiolino) è venuto in mente, un giorno, di dar vita e sede a una Associazione Italiana Collezionisti Immaginette Sacre (Aicis), a Roma in Piazza S.Maria in Campitello 2. In stretto rapporto con la stampa popolare e la raffigurazione miniata, sono collezionati come i francobolli, le monete, le medaglie commemorative e quant’altro collezionabile, scatole metalliche per caramelle e figurine di ogni tipo e tempo comprese, da persone di ogni ceto sociale e culturale: bizzarre ed estrose nell’esibirli protetti e ordinati in album, bacheche e cornici, attente e pignole nella selezione e nella stima del loro valore (anche venale), soprattutto di quelli più antichi. Non sono collezionati, però, con l’intenzione di costituire l’iconografia di personali santuari della fede, segreti e inaccessibili. Nè sono collezionati per indagare privatamente il rapporto uomo-fede-arte, ieri-oggi-domani, o l’azione pedagogica esercitata. Non sono collezionati, in definitiva, come toccanti testimonianze dell’universo devozionale popolare, ma come simulacri di una “credulonità” (ci si passi il termine!) obsoleta. In ogni fiera e mercatino del modernariato si mercanteggiano come le cartoline illustrate e la corrispondenza con affrancatura annullata. Costano pochi euro quelli più recenti “tipografati”, che ambulanti e mendicanti offrono ai passanti per sollecitare la carità pubblica nei pressi di chiese e santuari, come nei centri storici cittadini. Costano molti euro quelli merlettati ottocenteschi, ancora di più costano quelli colorati a mano, oppure manipolati tanto da risultare “pezzi unici”. Immagini sacre della Madonna e di Cristo in bianco e nero, tratte da incisioni in legno, ci risultano diffuse come “imagerie populaire” prima che Giovanni Gutenberg inventasse a Magonza nel 1454 la stampa a caratteri mobili. L’uso del termine Santini è documentato da alcune scritture notarili degli ultimi decenni del Cinquecento. Sono stati doviziosamente “serviziati” più volte da Jesus, L’Espresso, L’Europeo, FMR e tanti altri magazines. La stampa quotidiana presta attenzioni a ogni loro esposizione in luoghi ecclesiali e sale per turisti in wek-end. Le “tipologie” risultano descritte in alcune pubblicazioni monografiche Il DAMS di Bologna ha già laureato chi li ha argomentati nella propria tesi (Cristina Nobili: Analisi iconografica della religiosità popolare – Le immaginette sacre). Il Pane di Sant’Antonio li calendaria ogni anno. Che sia giunto il momento per “nobilitarli” con una esposizione pubblica nelle sale di un museo d’arte moderna e contemporanea, gratificandoli per il ruolo di mediazione svolto come eccentrici mass-media ecclesiali? La domanda ce la siamo posta rileggendo un testo di Lamberto Pignotti apparso in D’Ars (n.99/1982). Dopo aver letto “I Santini” (1993), catalogo di una mostra a Piombino con testi di Autori Varii, e “Santini” di Elisabetta Gucci Grigioni e Vittorio Pranzini, edito dalla Essegi di Ravenna nel 1990. Avendo letto in precedenza “Madonne Santi e Santini”, catalogo della omonima rassegna organizzata dal Centro Morandi a Roma (1980), e “Immagini Sacre da libro” della Società San Paolo (edizione fuori commercio 1980). Sapendo di alcune pubblicazioni tedesche e francesi, più che altro descrittive e catalogatorie. Il Catalogo “Turgi” del 1840, conservato nella Biblioteca Nazionale di Parigi, per esempio, riproduce 225 modelli diversi di teste di Santi, 419 biglietti di Prima Comunione, 2.000 piccole immagini per messale. Non è stata ancora effettuata, però, una ricerca sociologica globale che li riguardi. Non è stata svolta alcuna indagine filologica rigorosa sui vari coefficienti linguistici, retorici, semiologici e iconografici che li caratterizzano. “Sia la linguistica che la critica d’arte li hanno soltanto aggirati come ostacoli”, è stato scritto. Forse perché a prima vista, osservandoli, si riceve una generale impressione di kitsch. Poiché si riscontra nella loro fattura un gusto cromatico e grafico non proprio sublime. Sicuramente perché propongono un repertorio iconografico vecchio e ripetitivo, con un linguaggio segnico divenuto inutile, e illustrano un immaginario infantile primitivo. Qualcuno li prenda seriamente in considerazione senza eccessivi pregiudizi come “operine d’arte”, sia pure d’arte minore e succedanea, campionariando gli esemplari frutto della spontaneità o tensione ideale personale. Quelli elaborati al limite del virtuosismo, fino all’assunzione di caratteristiche “singolari” che li impongono all’attenzione nostra e dei più distratti, come “oggetti” para-artistici. Quelli che possono risultare assemblagi di elementi diversi, nobilitanti la stereotipia e la trasandatezza di immaginette devozionali altrimenti soltanto incise o cromolitografate da artigiani talentati. Quelli oggettualizzati (generalmente da mani suorali nei conventi) con piume, petali, perline di ogni colore, frammenti di stoffa “fina” e quant’altro assemblabile e decorativo, per funzioni individuali e segrete. Il culto delle immaginette fu considerato lecito e affermato tale nel 1547 dal Concilio di Trento. Il Santino come immaginetta per la massa è nato, però, principiando l’Ottocento, Dopo il 1860 si è semplificato per diffondersi più a buon mercato. Tra il 1880 e il 1915 si è colorato col procedimento cromolitografico. Poi la sua qualità grafica ha cominciato a scadere, fino al momento della monocromia al bromuro (nero o marrone) e al Santino di nessun pregio serializzato a costi sempre più bassi. I Santini traforati e colorati singolarmente con abilità da devoti e suore oranti e pazienti, “unicizzati” per esprimere affettività e comunicare spiritualità eccezionali e irripetibili, oltre che non emulabili, sono Santini di pregio considerati rari. Significano devozionalità personalizzata, testimoniano fede intima e segreta, documentano rapporti esasperati e terapeutici col Divino e la Santità. Siano decodificati con indulgenza, perciò, da chi si considera componente di una società sdivinizzata.

(Testo leggibile anche in: http://web.mac.com/colaciccogennaro/santininatalizi/Letture_eRossi.html )

Published by rossiroiss, on gennaio 26th, 2008 at 3:30 am. Filled under: Diario, Enzo Rossi-RòissCommenti disabilitati

DI UN FALO’ PLEBEO SANTANTONIANO SALENTINO

ASPIRANTE AL RICONOSCIMENTO UNESCO NOBILITANTE

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All’UNESCO sarà chiesto di riconoscere come “…bene immateriale intangibile, patrimonio dell’umanità”, il grande falò nomato “Focara” ( www.focara.it ) che a Novoli di Lecce costruiscono ogni anno per essere acceso il 16 gennaio festeggiando Sant’Antonio Abate patrono del luogo. A prescindere dal giudizio di Giovanni Pellegrino, Presidente della Provincia leccese, per il quale la promozione e nobilitazione del manufatto novolese è da considerarsi operazione di marketing territoriale, marginalmente sponsorizzabile, poichè (comunque) la cultura salentina e la sua programmazione e diffusione sono altra cosa.
Riusciranno a compiere tale impresa coloro che l’hanno concepita?
Chi vivrà saprà e vedrà, è la mia risposta.
Un primo supporto cartaceo, intanto, è stato realizzato da alcune Istituzioni comunali, editando un quaderno con punti metallici di 64 pagine formato 24×14 cm. (annunciato e distribuito gratuitamente come “book”), contenente testi estemporanei di 39 autori eterogenei e velleitari d’ambo i sessi. Ha per titolo Sant’Antonio Abate e la Focara – I giorni del Fuoco. Documenterà a futura memoria una fiera delle vanità scrittorie autoreferenziali massmediatizzata per dare visibilità letteraria ad alcuni “noti a se stessi”: gratificata dalla compiacenza dei compaesani in sintonia, esponenti di una microcomunità territoriale bisognosa di cultura identitaria per certificarsi attiva e farsi censire “esistente”.

Published by rossiroiss, on gennaio 18th, 2008 at 5:27 pm. Filled under: Agenda, Enzo Rossi-RòissCommenti disabilitati

IMMAGINI DEL SANT’ANTONIO ABATE MAIALATO

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CERCASI PRO LIBRO D’ARTE BIO-ICONOGRAFICO
(Contattare www.ilparametro.it)

Una pubblicazione amatoriale del tipo zibaldone, intitolata La figura di Sant’Antonio Abate (nella tradizione, nell’arte e nella memoria), è già stata realizzata nel 2001, per una esposizione ad hoc sponsorizzata dal Comune di Calderara in Provincia di Bologna, a cura e con testi di Eugenio Cavallaro e Rino Battistini. Altra pubblicazione intitolata Sant’Antonio abate, nell’arte e nella tradizione popolare (Il Parametro Editore), è stata concepita e annunciata da Piergiuseppe De Matteis e Mario Rossi nei ruoli di autore ed editore. Col proposito di censire le  opere che raffigurano il Padre del Monachesimo (nato nel 251 e morto ultracentenario nel 356), realizzate da artisti noti e meno noti in ogni tempo e in ogni luogo.
Poiché considero tale impresa “ardua”, perché abbisogna di conoscenza artistica specifica e attivismo imprenditoriale sperimentato senza precedenti, suggerisco qui di seguito un Indice di riferimento. Con la raccomandazione di non privilegiare eccessivamente l’iconologia più popolaresca e straconosciuta costituita dalla statuaria devozionale stereotipa, dai santini cartacei e dall’oggettistica kitsch iconizzata con l’effigie del Santo maialato.

INDICE:
- Scheda introduttiva con notizie storiche e biografia del Santo.
- Le tentazioni demoniache dipinte: selezione di opere concepite ed eseguite da artisti illustri: da Giacomo Jaquerio (1375?-1453) a Salvador Dalì (1904-1989).
Con commenti arguti e maliziosi riferiti a quelle che raffigurano l’immaginario erotico, il delirio satanico e la visionarietà allucinata del Santo.
– Le tentazioni incise o disegnate: selezione di  opere a cominciare da Martin Schongauer (1448-1491) e Jan Brueghel il Vecchio (1525-1569).
Nelle quali è possibile stabilire radici del surrealismo storico di Breton & C.
- Il Santo scolpito in legno o pietra, a tutto tondo o in basso e alto rilievo: selezione di opere esemplari di autori noti e anonimi.
- L’iconolografia popolaresca: selezione di santini et varia oggettistica d’uso e non, a una o più dimensioni.
- Scheda bibliografica conclusiva: selezione di pubblicazioni monografiche significative.

Le opere che raffigurano il Santo monaco anacoreta (con e senza il maiale), dipinte, scolpite, disegnate e incise da artisti noti, sono facilmente reperibili. Più difficile, invece, censire le opere degli artisti meno noti o anonimi, autori di pregevoli opere d’aprés, oppure di ripetizioni artigianali conformi a opere artistiche.
Considerando esemplari (o emblematiche) le illustrazioni che si accompagnano a questo testo.

Published by rossiroiss, on gennaio 13th, 2008 at 10:38 pm. Filled under: Diario, Enzo Rossi-RòissCommenti disabilitati

AUGURI

Ho brindato all’anno nuovo in coppia, ospite di una coppia di conoscenti perché al momento opportuno mi hanno manifestato amicizia, nel loro appartamento sonorizzato dal televisore acceso, guardando subito fuori della finestra, dall’alto di un quinto piano, il viale sottostante.

Una tradizione popolare locale suggerisce di trarre auspici, fausti o infausti, per l’anno nuovo, dal sesso della prima persona che si “vede” fuori di casa, a partire dall’ora zero: “vedere” un uomo porta bene, “Vedere” una donna porta male.

Guardando fuori della finestra sul viale sottostante, dall’alto di un quinto piano, ho visto un’auto ferma accostata al marciapiede, ho visto uscire dall’auto un uomo con una bottiglia in mano, ho visto che ha stappato la bottiglia e bevuto subito a collo (come suol dirsi) un po’ del suo contenuto. Poi ho visto l’uomo poggiare sul marciapiede, con attenzione, la bottiglia, e abbandonarla, tornando nell’auto che ho visto partire e allontanarsi in accelerazione forzata.

Ho suggerito di uscire fuori e di raggiungere a piedi un pub poco distante, per brindare nuovamente all’anno nuovo in un luogo affollato e sicuramente più rumoroso.

L’idea è stata fatta propria da tutti e si usciti.

Ne ho approfittato per avvicinarmi alla bottiglia abbandonata sul marciapiede, esposta al vandalismo del piede di un passante in vena di scalciarla supponendola vuota, e l’ho presa. Intenzionato a traslocarla sulla panchina di pietra al coperto di un box dell’Azienda Trasporti Municipali poco distante, strada facendo andando al pub.

“Lascia stare! Cosa fai? Sarà piena di piscio!”, mi è stato detto.

Ho letto sulla bottiglia l’etichetta di una nota marca di champagne, l’ho annusata, non era piscio. L’ho posizionata sulla panchina di pietra al coperto del box dell’Azienda Trasporti Municipali, in modo tale che potesse essere notata da un viaggiatore solitario in arrivo, oppure in partenza, e presa per bere parte o tutto del suo contenuto beneaugurate.

Un’ora dopo, di ritorno dal pub, non ho visto la bottiglia là dove l’avevo lasciata, né l’ho vista rotta o integra sul marciapiede o nei pressi tutt’intorno al box dell’Azienda Trasporti Municipali. Qualcuno in arrivo, oppure in partenza, oppure in transito, l’aveva notata e l’aveva presa sicuramente.

Ho guardato in ogni direzione e ho notato un pedone solitario procedere con passo stanco alcune decine di metri più avanti. Ho pensato che potesse aver preso la bottiglia. Ho voluto sapere. L’ho raggiunto affrettando il passo, dopo aver detto agli altri: “Continuate pure a camminare col vostro passo. Io vi anticipo e vi aspetto più avanti”.

Quando ho raggiunto il pedone solitario, l’ho superato lentamente dicendogli: “Auguri!”.

“Auguri!”, mi ha detto, alzando un braccio e stringendo in mano una bottiglia uguale a quella che avevo lasciato sulla panchina al coperto del box dell’Azienda Trasporti Municipali.

Il pedone solitario mi ha fatto intendere che potevo prenderla e bere un po’ del suo contenuto brindando all’anno nuovo: me l’ha fatto intendere pronunciando parole di una lingua a me sconosciuta.

“No, grazie”, gli ho detto continuando a camminare.

Non mi ha seguito affrettando il passo, ma mi è passato davanti nel punto in cui mi sono fermato ad aspettare gli altri e mi ha ridetto: “Auguri!”, alzando il braccio e stringendo in mano la bottiglia.

Appena mi hanno raggiunto, gli altri hanno chiesto: “Chi era?”.

“Un africano lontano dalla sua casa e senza conoscenti nei pressi. Ci siamo scambiati gli Auguri”, ho risposto.

Published by rossiroiss, on dicembre 31st, 2007 at 8:38 pm. Filled under: Diario, Enzo Rossi-RòissCommenti disabilitati

DEL MILLANTATORE CONCETTO POZZATI ROISSOFOBO

FALSIFICATORE DELLA PROPRIA SCHEDA BIO-BIBLIO-ICONOGRAFICA

Il pittore Concetto Pozzati, falsificatore della propria scheda bio-biblio-iconografica e di quelle dei suoi avi (il padre Mario e lo zio Severo/Sepo), impegnato dalla nascita e full-time a millantare ruoli da protagonista in eventi che lo hanno avuto occasionalmente comprimario, oppure spettatore come in occasione della prima esposizione di Piero Manzoni a Bologna organizzata e recensita da Emilio Contini nel 1958 (cfr. “Dossier Piero Manzoni” pp. 49-55), continua ad affermare che l’autore del libro “Dossier Pozzati” edito nel 1990 è stato denunciato e condannato. Il ritaglio-stampa che segue (de “la Repubblica”) lo smentisce (sbugiarda?!) a futura memoria sua e di ogni suo supporter ròissofobo, sia coevo che postumo. Altro si può leggere cliccando nel sito www.rossiroiss.it  il titolo del libro “incriminato”, mai repertorizzato dai bio-bibliografi pozzatofili.

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Published by rossiroiss, on dicembre 30th, 2007 at 8:40 pm. Filled under: Diario, Enzo Rossi-RòissCommenti disabilitati