DODO D’AMBURG
Dopo averla conosciuta nel 1988 e frequentata a Bologna, accompagnato dalla pittrice Rita Aldrovandi nella sua abitazione con atelier sottostante in Via Goito, ex strip-teaseuse divenuta pittrice, scrittrice di poesie, docente di yoga e arte dello strip in un circolo ARCI (il Cesare Pavese di Via del Pratello), gestita da Patrizio Roversi e Susy Blady comici esordienti, l’ho cercata e trovata nel giorno di un Natale venti anni dopo (quasi) tra i resti di un mulino sulla riva di un ruscello, con tanti gatti da sfamare e accudire, in un luogo montanaro della Lunigiana, divenuto il suo romitaggio. Un mulino disagiato da evidenti lavori di ristrutturazione iniziati e quasi subito interrotti causa indisponibilità finanziaria imprevista, in gra parte disabitato e, perciò, abitato soltanto da chi non dispone di altra abitazione: con gli scatoloni del trasloco accatastati da anni in un ambiente dove il loro contenuto è stato degradato dall’umidità, gli abiti (anche di scena) appesi in un guardaroba rudimentale coperto da teleri antipolvere e nascosto da un tendaggio in un grande monovano sovrastante alcuni vani disabitati, riscaldato da una stufa a legna durante i giorni invernali. Il tuttto comphortato da un angolo cottura dotato dello stretto indispensabile: pochi fornelli alimentati da gas in bombola, e da un servizio igienico privo della doccia e della vasca. Poco distante da una Pieve e dalla Locanda Gavarini (8 camere matrimoniali + un mini appartamento con sei posti letto) con ristorante incluso, ex osteria punto di riferimento per viandanti, insediato in un borgo storico tra i Comuni di Villafranca e Bagnone, raggiungibile percorrendo la Via Francigena seguendo l’itinerario citato nel 994 dal Vescovo Sigeric di Canterbury.
Nata Dorotea Slavinsky nel 1929 a Amburgo, ha compiuto gli 82 anni il 14 novembre scorso in Italia, redditata da una pensione minima del tipo “sociale”. Ignorata e dimenticata come sacerdotessa celebrante e celebrata nel tempio dell ‘eros parigino, il Crazy Horse. Malgrado continui a risultare santinizzata dai manifesti e dalle locandine dei film “Mondo di Notte” del 1959, e “Totò Sexi” del 1963, oggetto di desiderio sessuale agognato dagli autori e dai protagonisti della dolce vita cinematografata da Federico Fellini
Nel web Sono visibili umerose immagini fotografiche d’antan che la illustrano come regina dello stri-teuse anni 50 del secolo scorso, narrata in una lunga scheda bio-bibliografante che ho postata in un Gruppo Facebook, leggendo la quale è possibile aprendere quando, come, dove e perché ha avuto successo nomata Dodo D’Amburg “ Vedova Nera”.
Impossibile quantificare gli uomini che se la sono goduta con gli occhi (come suol dirsi).
“Ha abitato nell’immaginario erotico di tutti gli uomini che hanno”visto” le sue esibizioni, compresi numerossimi italiani, con Federico Felini e Vittorio De Sica suoi ammiratori in prima fila. Refrattaria al fascino di Vittorio Gasman et analoghi. Affascinata, invece, da Marcello Mastroianni e Nino Mafredi. Tutti hanno desiderato godersela nuda fra “…il medesimo paio di lenzuola”, letteratureggiato dall’autore de “Il Gattopardo”. A molti vip si è negata, spiegando il come-quando-perché. Per far notizia, si è dichiarata relazionata ad hoc con altri (J.F.Kennedy compreso)”, risulta scritto nel mio testo webizzato http://www.facebook.com/group.php?gid=119431291415768).
Il Crazy Horse fu fondato nel maggio 1951 a Parigi da Alain Bernardine, morto suicida nel 1994. Compiendo i 60 anni durante il 2011, alcuni cronisti lo hanno notiziato scrivendo testi farciti con ciò che il web passa alla maniera di un convento strada facendo (a piedi!)…a chiunque. Come Mario Serenellini autore di un testo apparso in una edizione domenicale de “la Repubblica” 30 ottobre 2011, col titolo “Il ritorno del Grazy Horse”, supportato da una succinta testimonianza di Rosa Fumetto (classe 1947) reperibile a Roma, che fu strepteuse debuttante nel 1968 al Crazy Horse, sebbene dotata di misure ristrette, se comparate alle misure codificate dal Bernardine.
Il busto lungo con seni sodi non siliconati contenibili ognuno tra il pollice e l’indice della mano, capezzoli eretti, il collo obbligatoriamente lungo e flessibile, glutei prominenti a forma di otto orizzontale, pube col pelo rigorosamente nero a forma di triangolo equilatero col lato di cm.12, le cosce sode e chiuse tanto da non lasciar passare una cartina per sigaretta, le gambe lunghe e rotonde con caviglie sottili, altezza 1,58/1,75, peso 51/54 kg, età massima 30 anni.
Nell’anno 60° del Crazy Horse, a nessuno è venuto in mente di raccogliere informazioni relative alla più illustre delle star d’annata del Crazy Horse, la Dodo d’Amburg residente in Italia dal 1965, ritiratasi dalla scene nel 1977, appartata (e dimenticata) nel romitaggio di un vecchio mulino tra i monti della Lunigiana dal 1997. Come una Roll Roice degli anni 50-60 del secolo scorso, conservata sotto il tetto di un fienile sprovvisto di ogni altro riparo dalle intemperie. (copyright Enzo Rossi-Ròiss)
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Filmography by year for Dodo’ D’Amburg More at IMDbPro »
- Le calde notti di Parigi (1963) [Actress] di Jose Benazeras
… aka “Paris erotika” - France (original title)
… aka “Paris Ooh La La” – USA - Totòsexy (1963) [Actress .... Exotic dancer] (as Dodò d’Hambourg)
… aka “Totò Sexy” – Italy (copyright title) di Mario Amendola - Totò di notte n. 1 (1962) [Actress] di Mario Amendola
- Il mondo di notte (1961) [Actress .... Stripper] (as Dodo d’Hambourg)
… aka “World by Night” – USA di Luigi Vanzi - Mondo di Notte (1959) di Luigi Vanzi
- VIDEO CON STRIPTEASE – http://cinemacuts.com/2011/06/19/il-mondo-di-notte-1961/
Trascorre l’infanzia e la prima adolescenza in una casa annessa alla parocchia.
All’età di dieci anni resta orfana del padre morto investito da un treno a Stettino (versione ufficiale),ucciso perchè in buoni rapporti con gli ebrei (versione ufficiosa).
Dirà: “Per anni ho creduto che papà fosse morto in un incidente. Solo dopo la guerra ho appreso che a spingerlo sotto un treno sono stati gli uomini delle SS”.
Abita ad Amburgo con la madre, la sorella Brigitte Anna Bettina (nata 1934) e il fratello Reihnard (nato 1936). Sogna il teatro. Immaginandosi attrice, si esibisce davanti allo specchio, nella sua camera, simulando movenze ed espressioni. Si iscrive, perciò, all’Accademia d’Arte Drammatica della sua città.
Dirà: “Nell’immediato dopoguerra, la vita in Germania non era certo facile. Un mio zio, console austriaco ad Amburgo, mi aiutò finanziariamente, consentendomi di frequentare l’Accademia. Per la verità non ero un’allieva molto attenta. Mi bruciava dentro la voglia di arrivare il più presto possibile. L’occasione dell’esordio nel mondo dello spettacolo mi venne dal mio primo e unico marito. Poi continuai da sola fino a restare prigioniera del mio personaggio. Se mio padre fosse stato in vita, non mi sarei certo avventurata sulle pedane dei locali notturni. Ma lui non c’era più e dovevo necessariamente badare a me stessa”.
Nel 1945 comincia a esibirsi come spogliarellista sedicenne in un cabaret a Stoccolma. Un po’ per la fretta di emanciparsi, un po’ perché speransosa di raggiungere il teatro serio transitando per quello frivolo.
Dirà: “A sedici anni me ne andai da casa, con un amica di nome Elena. Stravolta dalla mia città, Amburgo, che in ogni angolo mi ricordava le miserie della guerra. Non avevamo niente. In casa non andavo d’accordo con i miei che sognavano…Chissà cosa sognavano, per me! Ho avuto una madre pazza…pazza! Ero nata con una grave malformazione, una tubercolosi ossea che mi devastava. Avevo delle gambe così storte da far paura. Eppure ero carina, alta, begli occhi. Il ballo mi venne incontro. Con il ballo, mi dissero, potrai guarire, rafforzare le ossa. Di quale ballo, poi, sarei vissuta non potevo certo immaginarlo. Quando mi fu proposto il cabaret, accettai perché mi sembrò un compromesso con la vera arte teatrale e per fare esperienza. Mi ritrovai in un locale malfamato di Stoccolma, dove in cambio di vitto e alloggio mostrai al pubblico tutta me stessa senza veli. Accettai quel tipo di vita perché mi permise l’indipendenza dai miei, e soprattutto perché, facendomi vergognare, all’inizio mi aiutò a vincere un mio grosso difetto: la timidezza. Mi divertiva da morire incarnare la donna fatale spregiudicata, la belva mangiauomini. Ma nella vita non ho mai mangiato nessuno. E incredibile che io da ragazza sia stata terribilmente timida e schiva. Spogliarmi fu un po’ come dimostrare a me stessa di poter diventare forte”.
La contatta Edward Schneider (nato 1904), direttore del Colibrì di Amburgo, un cabaret per esordienti, e la scrittura assumendo il ruolo di suo agente esclusivo e pigmalione, destinandosi a sposarla ventenne, e ingravidarla nel momento in cui sarà disamorata, predisposta ad abortire per non handicapparsi il prosieguo della carriera artistica.
Ricordando la sua unica esperienza matrimoniale, dirà: “Per molto tempo Edward aveva evitato di avere con me rapporti sessuali, anche nei momenti in cui avevo manifestato la mia disponibilità ad averli. Quando cominciò ad averli e rimasi incinta, decisi di abortire perché non mi suscitava più alcun desiderio”.
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Durante gli anni 1946-1950 si esibisce in molte città tedesche e altrove, incrementando l’incasso degli “ingaggi” con la vendita delle cartoline che la ritraggono discinta, alla fine di ogni esibizione.
Dirà: “Rimasi incastrata. Una volta entrata nel giro, non riuscì più a liberarmi dall’etichetta di spogliarellista che mi fu appiccicata addosso”.
Nel 1951 Alain Bernardin la nota nel Ba-ta-clan di Ginevra, e le propone di trasferirsi a Parigi per esibirsi adeguatamente compensata al Crazy Horse, inaugurato il 19 maggio, poiché ha le caratteristiche fisiche per avere successo nell’arte dello strip-tease: come nella tabella che segue.
IL VISO deve essere espressivo e bello. L’occhio vuole la sua parte. Dei bei tratti permettono alle spettatrici di parlar bene d’una strip-teaseuse, senza compararla al proprio giro di petto.
IL BUSTO deve essere lungo e i seni coronati da una graziosa aureola. Rigorosamente sodi. Non è necessario reclutare rivali di Jayne Mansfield e Anita Eckberg, i proiettori possono donare un rilievo apprezzabile a un seno minuto.
IL COLLO è obbligatoriamente lungo e flessibile. Si può allungarlo ancora contornandolo con un collier a più raggi discendenti molto in basso.
IL GINOCCHIO non è accettabile che piccolo e rotondo. Sembra che quello di Zizi Jeanmarie sia un modello del genere.
LE COSCE non sono accettabili che lisce e sode. Chiuse, non devono lasciar passare un cartina per sigaretta.
LE GAMBE devono essere lunghe e rotonde, le caviglie sottili.
I canoni di bellezza di Alain Bernardin, esigente come pochi altri nel reclutamento delle “artiste” per il Crazy Horse, sono e saranno rigorosamente questi: altezza tra un metro e 58 e un metro e 75, peso tra 51 e 54 chili, età massima trent’anni.
Dal 1951 al 1994, anno della sua morte per suicidio all’età di 81 anni, si spoglieranno senza pudore nel suo ufficio 20.000 giovani donne sperando di essere ingaggiate. Ne assumerà soltanto 230 in 46 anni. Elencate tutte in ordine cronologico di debutto nel sito www.lecrazyhorseparis.com/history: Miss Fortunia (1951), Rita Renoir (1952), Clara St.Honorè (1052), Ann Burning (1952), Laure Gerard (1953), Diamond Baby (1953), Candida Miss (1953), Yoko Tani (1954) Miss Sylvlilia (1954), Miss Pamela (1954), Dodo D’Amburg (1954), e così via fino a Vanity Starlight (2004), sua postuma.
Fondamentali il seno (il pollice e l’indice della mano aperti dovevano contenerlo), i capezzoli dovevano essere ben eretti, i glutei accettabili soltanto se con le due rotondità formavano un otto orizzontale, il pelo del pube rigorosamente nero, anche portato da bionde o rosse, a forma di triangolo equilatero col lato di 12 centimetri, niente storie d’amore con i clienti.
Il nome d’arte concepito ad hoc per ognuna, e così pure la scenografia, i costumi, le musiche, le movenze e la sceneggiatura di una storia pretestuosa: i sogni sensuali di una giovane donna in wagonlit o della moglie di un esploratore che s’illanguidisce su alcune pelli d’animali, la fuga di un’avventuriera inseguita dallo sceriffo, il bagno di una giovane sposa nel retro di un negozio veneziano. Per ogni “storia“ un abito giusto. Ancora più fondamentali le luci che devono accarezzare, velare e svelare.
Da vero maniaco delle luci, Alain Bernardin scrive dei veri e propri spartiti per i proiezionisti, spartiti che fanno male alle mani di chi li esegue pulsando i concentocinquanta bottoni del tavolo di comando. “Volete fare del Liszt con l’illuninazione, ma io non mi chiamo Cziffra”, gli dirà un giorno, esasperato, uno dei proiezionisti, dimettendosi per andare a lavorare in un cabaret di Pigalle che non ha ancora scoperto l’uso della luce nera e i proiettori a indirizzo variabile.
Dodo si trasferisce a Parigi, ventiduenne. Bernardin le impone il nome d’arte Dodo D’Amburg. Così come ad altre imporrà i nomi: Victoria Nankin, Jenny Boston, Consuelo Sao Paulo, Loulou Santiago, Cha Londres, Ghora de Venise.
Ha subito successo come strip-teaseuse del Crazy Horse, uno scantinato della Avenue George V a quattro passi dagli Champs Elysees: lo stesso degli anni 2000. Dove le luci vestono i corpi nudi delle vedettes proiettando sulle loro superfici frammenti di pittura moderna e contemporanea, composizioni caleidoscopiche e particolari somatici di personaggi illustri (non disdegnando i baffi di Hitler e la barba di Abramo Lincoln).
Dirà: “Per avere più successo, il trucco era semplice. Ai clienti del locale facevo credere di essere disponibile, ridevo, facevo la civetta, mostravo le gambe. E loro? Be’, loro bevevano, offrivano, pagavano. Bernardin era felice e fiero di me. Ed io imparavo a dimenticare quella parte della mia vita dalla quale cercavo di fuggire. Compreso mio marito. Dal quale comincio a vivere stabilmente separata, senza optare per il divorzio”.
Con i primi risparmi, Dodo acquista un bar a Francoforte e lo affida al marito Edward Schneider, un cinquantenne accantonato e allo sbando, scarsamente redditato. Con l’intenzione di compensarlo per i servizi resi come suo primo promoter.
Dirà: “Il matrimonio con mio marito era finito da un pezzo. L’avevo sposato perché mi sembrava di non potermi tirare indietro. L’avevo conosciuto a 16 anni. Quando l’ho sposato avevo 20 anni. Una sera Bernardin mi disse scherzando: Divorzia da lui, sarai famosa e ricca. Io gli dissi che non avrei mai divorziato, perché non era giusto. Gli dissi, anzi, che per Natale avrei fatto un salto in Germania, a casa. Follie, mi disse. Il Natale è il periodo migliore. Fai finta che lui sia morto. Inventeremo un numero speciale. Diventerai per tutti la Vedova Nera. Quale tremendo presagio!”.
Nel 1954 la “Vedova Nera” è ideata così per il Crazy Horse, da Alain Bernardin, per aiutare Dorothea Slawinsy a superare la crisi in cui si dibatte, maritata a un uomo anziano e ingombrante che pretende il suo ritorno ad Amburgo.
Dirà: “Al mio datore di lavoro non faceva certo piacere avere intorno ragazze col broncio. Lui pretendeva che fossimo sempre scanzonate e sorridenti, e io, in quel periodo, non avevo tanta voglia di ridere. Una sera mi disse: Basta con la storia di tuo marito. Divorzia o fallo fuori. Poi si fermò per un attimo. All’improvviso disse: Ho trovato. Entrerai in scena tutta vestita di nero e ti muoverai in un ambiente che deve sembrare una camera ardente. Ci sarà un sofà di broccato rosso porpora e ci saranno tante candele. Poi incomincerai a spogliarti lentamente. Anche la biancheria intima sarà nera. Nel finale resterai solo in slip e con il velo in testa. Insomma, all’inizio dovrai apparire addolorata, ma alla fine, tra un sorso di champagne e un mugolio, dovrà sembrare che hai finalmente dimenticato il defunto”.
Un cronista scriverà: “Usciva dalle quinte accompagnata da una musica insinuante e dolcissima. Avanzava lentamente tutta chiusa nell’abito nero. Una vedova inconsolabile. Sotto il velo di pizzo si indovinava un volto devastato dal dolore per la morte del marito. Un’attrice tutta particolare, che recitava soprattutto con il suo corpo, un corpo plastico e splendido, che faceva versare fiumi d’inchiostro a critici entusiasti e ammirati”.
L’esibizione rimane nel cartellone ininterrottamente, e riscuote un successo strepitoso. Poi, un giorno, arriva la notizia che il marito di Dodo D’Amburg è morto davvero.
Nel 1955 Edward Schneider muore suicida cinquantunenne avvelenato da un topicida, dopo aver fallito un tentativo col gas. La gestione del bar a Francoforte risulterà fallimentare, gravata di debiti che Dodo, definitivamente “Vedova Nera” ventiseienne, pagherà rateizzati.
Nel 1959 è “mondializzata” dalla partecipazione al film ”Il Mondo di Notte”, replicata per ”Totò di notte” l’anno successivo. La sua presenza in Turchia è annunciata il 24 maggio, in prima pagina, dal “Turkiye Ekspres”, quotidiano di Istambul.
Molti anni dopo dirà: “Mi sento ancora un po’ colpevole. Il suicidio di mio marito è un fatto che non sono riuscita ad allontanare dalla mia mente durante molti anni. Ho continuato a vivere, però, come tutti. Come tante mogli rimaste sole dopo la morte improvvisa del marito, e naturalmente come una moglie che al momento del lutto esercitava il mestiere di attrice di teatro…Divenuta realmente Vedova, ho dato immagine al mio dolore anche in scena: immagine e sostanza, facendo assumere al mio lutto un significato erotico intrigante e indiscusso. Lentamente, seguendo il ritmo della musica, ho fatto cadere i veli neri, uno ad uno, fino a restare quasi nuda: con reggicalze, calze nere e pochissimo d’altro….”.
Dopo 1961 si esibisce al Casinò de Paris e al Lido.
Alcuni anni dopo dirà, a interlocutori diversi: “Spogliarsi è un’arte, e non tutte le donne sanno farlo con gusto. Bastava che comparissi in scena perché gli uomini balzassero sulle poltrone. Ero fatta così…Non mi muovevo nemmeno molto, era sufficiente la mia presenza in scena…”.
Si esibisce anche al Carousel, luogo per travestiti dove conosce Amanda Lear (ex Paki D’Oslo ed ex Alain Trap) nel momento in cui reclamizza un reggiseno, suscitando il disappunto del sindacato delle modelle e di un giornale che titola: E’ un uomo la modella più pagata di Francia”.
Nel 1965 giunge in Italia a Bologna, trentaseienne, scritturata per esibirsi nei locali notturni Esedra e Blak Shedow, reduce dai successi al Crazy Horse, al Lido e al Casinò de Paris.
Alla giornalista Bice Biagi dirà: “Un bolognese di origine ferrarese conosciuto a Parigi, mi disse più volte di amarmi molto e di non tollerare più che altri continuassero a vedere i miei spogliarelli. Mi convinse. Piantai tutto, vendetti il piccolo appartamento che mi ero comprato accanto al Bois de Boulogne e mi stabilì a Bologna”.
Col casanova bolognese, di origine ferrarese, proprietario di beni immobili a Migliarino, ricco playboy collezionista di opere di Giovanni Boldini, appassionato dei cavalli, scommettitore incallito,già coniugato con donna emiliana piccola, bruna e amante del liscio, la bionda e statuaria strip-teaseuse tedesca stabilisce un rapporto di coppia predestinato a degradarsi irreparabilmente dopo un aborto deciso autonomamente per il diniego dell’amante a formare una nuova famiglia, assolvendo i doveri conseguenti alla nascita di un figlio naturale extramatrimonio.
Dirà: “Lui non ebbe il coraggio di scegliere tra me e la sua famiglia e io, già ormai quasi quarantenne, non ho voluto essere felice facendo del male agli altri. Perciò abortì e il rapporto cominciò a finire. Fui io a chiudere la nostra storia, per consentirgli di ritornare a vivere con la moglie e i figli. No, non è stato un atto di eroismo. E’ stato il mio carattere a impormi quella decisione. Perché ho sempre pensato che la felicità di una persona non si può costruire sull’infelicità di un’altra. Forse è solo egoismo, non è un atteggiamento moralistico. E’ finito perché non è stato un grande amore, ma un ripiego. Quando l’ho conosciuto ero in crisi per la fine dell’unico grande amore della mia vita: un produttore cinematografico inglese, sposato e con una situazione famigliare ingarbugliata, che ho incontrato a amato a Parigi per dieci anni fino al 1964. Fino a tentare il suicidio avvelenandomi con i barbiturici. L’italiano mi fece superare la crisi facendomi tornare a sorridere e dandomi l’opportunità di trasferirmi a Bologna. Di tutto questo non finirò mai di essergliene grata”.
Finirà, invece, col non riconoscerlo, quasi vent’anni dopo a Bologna, percorrendo uno dei due portici di Via Indipendenza, perché fisicamente modificato e rimpicciolito dall’età divenuta ultraottuagenaria.
Nel 1977 si ritira dalle scene, dopo un’ultima esibizione alla Ca’ del Liscio di Ravenna, e si attiva come conduttrice di un minuscolo istituto di bellezza, nel quale dipinge quadri surreali e aiuta le donne coetanee a liberarsi dalla cellulite con metodi yoga, diete vegetariane ed erbe miracolose. Coabitando con un levriero irlandese, due gatti siamesi e un barbagianni. Praticando lo spiritismo e le scienze occulte per divertimento. Familiarizzando con un fantasma (Maria Teresa) che le libererà la casa da tutti gli insetti, dopo alcuni comportamenti dispettosi, tipo l’accensione improvvisa di tutte le luci in piena notte. Dipingendo occhi di pantera, cavalli bianchi, boschi con tanti animali e fiori diversi dalle forme stravaganti.
Dice: “Quando dipingo la mia mano è guidata da una forza esterna, una forza che mi induce a creare forme e situazioni che non decido preventivamente di raffigurare sulla tela. A me piacciono particolarmente i fiori. Ebbene, a quadro finito, oltre ai fiori sono visibili sulla tela anche immagini di strani esseri che nulla hanno a che fare con il mondo in cui vivo”, dirà a un cronista.
Un recensore enfatico scriverà: “C’è nei suoi quadri un pot-pourri di sensazioni che richiamano alla mente le tappe essenziali della sua esistenza e, tra esse, quel “Mondo di notte” che l’ha fatta conoscere alle platee di tutto il nostro continente e fatta ammirare dal pubblico maschile per la sua avvenenza, il suo fascino, la sua figura statuaria, visione struggente che sgusciava lenta e irresistibile dalle sue vesti funeree creando suggestione estasianti. La pittura le dà uno scopo esaltante; la ricerca negli sguardi che incontra di un’anima amica, capace d’amore e di bontà, sentimenti che lei sa dipingere sorretta dalla sua innata fantasia e dal suo istinto artistico”.
Alla giornalista Bice Biagi dirà: “Avevo già 38 anni e, siccome sono molto fragile e immatura, cominciavo solo allora a vedere in tutta la sua luce la realtà del mondo in cui vivevo. E non mi piaceva più: ero stanca, mi chiedevo che senso avesse continuare a fare quella vita. Cercai anche di finirla, una volta, e mi ridiede fiducia lo sguardo pieno di pietà di una suora dopo il mio ricovero in ospedale”.
A un altro giornalista (G.Tedeschi) dirà: “Ho smesso quando ho voluto io e, soprattutto, non appena non mi sono più divertita. Dieci anni come prima donna, una ventina come attrice in genere, mi pare siano abbastanza. Si dovrebbe sempre pensare che è necessario saper smettere quando si è ancora qualcuno e non quando sono gli altri a volerlo. Io ho abbandonato il palcoscenico che avevo 38 anni. Bene, volevo farlo tre anni prima, ma avevo dei contratti da rispettare”.
Ad altri giornalisti dirà in occasioni diverse: “Uomini importanti e meno importanti hanno davvero fatto la coda per vedermi, per parlarmi, ma io sono stata troppo stupida per sfruttare le migliori occasioni. Mi tornava in mente ogni volta l’immagine di mia madre, con la sua voce e i suoi ammonimenti. Non buttarti via!, ricordo che mi disse quando abbandonai la nostra casa in Germania. Così ho dovuto sempre trovare un motivo valido per giustificare una mia, diciamo, continuazione della serata. Non ho avuto rapporti con nessun petroliere, ma di arabi e turchi ne ho conosciuti parecchi. Un turco, una volta, volle a tutti i costi farmi vedere il suo paese natale e per qualche giorno mi ospitò. Ricordo solo che fuggì spaventata.Quegli uomini considerano la donna un oggetto. E’ stato un bel sogno, una bella favola finita nel momento giusto. Anche se ho pagato prezzi alti per tutto ciò che mi è accaduto. Ho sacrificato molto alla mia carriera. Una famiglia? È stato un desiderio impensabile. Un viaggio con l’amante occasionale? Non ho potuto, perché ci sono state ogni volta le prove. Un figlio? Chi l’avrebbe allevato? Il mio mestiere è stato un grande specchio per le allodole, e per allodole intendo ovviamente tutti quelli che hanno sborsato molto denaro per guardarmi e ammirarmi, spesso con l’intima speranza di portarmi e godermi in un letto. Sapendo che le ballerine del Crazy Horse non erano prostitute d’alto bordo e che una serata d’amore con noi era una serata d’amore. Ciò che mi è accaduto, è accaduto soltanto quando l’ho desiderato anch’io e se l’uomo che mi ha corteggiata mi è risultato educato e piacevole. Certo molto spesso mi sono illusa che l’uomo in mia compagnia nel letto fosse la persona che poteva farmi compagnia per tutta la vita. Un sogno, un sogno accarezzato ogni volta anche grazie allo champagne bevuto”.
Dal 1979 al 1981 impartisce lezioni di danza e yoga presso il circolo dopolavoro dell’ATC bolognese in Via San Felice, promosse e amministrate da un Circolo ARCI.
Nel 1982 la Compagnia Gran Pavese dei nuovi comici bolognesi, allocata nel Circolo ARCI “Cesare Pavese” in Via del Pratello a Bologna, tramite la “tap-model” Syusi Blady (Maurizia Giusti trentenne, accoppiata a Roversi Patrizio ventottenne), la coopta come madrina e guest-star di una scuola per aspiranti spogliarelliste, suscitando una vasta eco massmediatica con informazioni biografanti approssimate e imprecise.
Nel 1993 Maurizio Costanzo la ospita una prima volta come “fenomeno” sul palcoscenico del Teatro dei Parioli a Roma per il suo Show notturno datato 25 marzo, e successivamente anche in duo con Paolo Villaggio, senza che le derivi alcuna promozione come pittrice, né alcuna prebenda immediata e concreta. L’assessore Ludovico Gatto la ingaggia come star per il “Ballo non solo” dell’Estate Romana.
Nel 1997 ha inizio il suo romitaggio in un vecchio mulino tra i monti della Lunigiana in provincia di Massa Carrara, sul percorso della Via Francigena.
A chi le chiede di definire la sua vita, ricorda questo aneddoto russo: “C’era una donna che, dopo tante guerre, e centinaia di soldati passati per la sua casa, quando il marito, tornata la pace, le propose un viaggio a Mosca, disse: Cosa vuoi che veda a Mosca? Tutto il mondo è già passato per il mio cortile”.
Aggiungendo: “Il passato è solo una cosa da ricordare e forse da scrivere. Chissà! L’ultima stagione della mia vita è stata caratterizzata dalla mia passione per la pittura e la scrittura poetica. Con i colori ho fissato sulle tele occhi, corpi femminili, forme astratte, animali, piante e fiori, angeli con tante ali. Se guardo il mio bicchiere, lo vedo ancora abbastanza pieno”.
Nel 2001 rifiuta l’invito a recarsi a Parigi per partecipare ai festeggiamenti organizzati per il cinquantenario del Crazy Horse.
Dice: “Sono stata la regina di Parigi per tanti anni di seguito. Non me la sono sentita di affrontare il mio vecchio pubblico cinquant’anni dopo. Senza un vestito adatto, tra l’altro. Molto fiera della mia vita attuale, che mi consente di rispettare me stessa”.
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Ha avuto per colleghe Rita Renoir: “…un po’ isterica, ma intelletuale, e metteva questa caratteristica anche nelle sue esibizioni. Non mi stupirei se un giorno o l’altro scoprissi che si è data alla letteratura. Era la sua vera strada”; Rita Cadillac: “…per quel poco che l’ho conosciuta, non mi è piaciuta”; Rosa Fumetto: “…l’ho intravista qualche volta. Era ancora ai primi passi, una generazione ci separava”.
Di alcune colleghe italiane in carriera televisiva, ha detto a un giornalista nel 1982: “..ai miei tempi avrebbero fatto fortuna Tini Cansino, Nadia Cassini e Carmen Russo. Mi piace moltissimo Cristiana Moffa, che trovo deliziosa e piena di civetterie. Lory Del Santo, poi, è insuperabile, perfetta”.
Ha conosciuto Soraya: “Quando l’ho conosciuta non era tanto ricca. Mi faceva anche molta rabbia, perché era attorniata da gente ricchissima che faceva a gara per offrirle champagne. Era bellissima, sicuramente la più bella di tutte, e che fosse donna non c’era alcun dubbio. Mi piace la ricchezza, diceva. Voglio diventare ricca”.
Ha abitato nell’immaginario erotico di tutti gli uomini che hanno”visto” le sue esibizioni, compresi numerossimi italiani, con Federico Felini e Vittorio De Sica suoi ammiratori in prima fila. Refrattaria al fascino di Vittorio Gasman et omologhi. Affascinata, invece, da Marcello Mastroianni e Nino Mafredi. Tutti hanno desiderato godersela nuda fra il medesimo paio di lenzuola, letteratureggiato dall’autore de “Il Gattopardo”. A molti si è negata, spiegando il come-quando-perché. Per far notizia, si è dichiarata relazionata ad hoc con altri.
Ha detto: “La pubblicità è l’anima del commercio, soprattutto per una diva del varietà, e io non mi sono sottratta a questa regola. Se venivano a chiedermi conferme circa le voci di una mia relazione con un uomo celebre, fotografato accanto a me al tavolo di un ristorante, non la smentivo. Anzi, rincaravo la dose, riferendo particolari. Non ho mai considerato ciò un problema. La vita della spogliarellista l’avevo scelta io stessa, senza imposizioni, e ne ero felicissima, fra l’altro. Ho sempre accettavo di buon grado le regole del gioco”.
Durante una intervista televisiva concessa al conduttore di una rubrica intitolata Odeon ha suscitato un pandemonio giornalistico affermando di essere stata l’amante di John, Bob e Ted Kennedy.
“L’ho buttata lì e hanno abboccato tutti, specialmente i giornalisti tedeschi che, da quel momento hanno incominciato a tempestarmi di telefonate, proponendomi la stesura di un memoriale piccante ben pagato. Ma che cosa dovevo scrivere in questo benedetto memoriale, se quella dei Kennedy era stata solo una battuta? L’ho detto, l’ho ripetuto, ma nessuno ci ha creduto, perchè da me ci si aspettava chissà quali rivelazioni. In quegli anni – primi anni ‘60 – i giornali scandalistici si divertivano a farmi apparire come una mangiatrice di uomini, portando acqua al mio mulino e spettatori al Crazy Horse. Nessuno, però, ha mai notiziato i miei grandi rifiuti”.
E’ stata corteggiata dal produttore cinematografico Sam Spiegel e dall’attore Gary Cooper. Il regista Otto Preminger le avrebbe fato interpretare il personaggio di Giovanna D’Arco, interpretato poi da Jean Seberg, se lo avesse soddisfatto come nei suoi desideri, tesaurizzando l’esperienza per raccontarla, poi, in un memoriale piccante. Più volte l’ha raccontata come qui di seguito.
“Tutta Parigi ne fu a conoscenza, ma la stampa preferì non occuparsene, un po’ per rispetto al mostro sacro del cinema americano, un po’ per non far passare da educanda me, simbolo del peccato. Lo stesso Bernardin, mio datore di lavoro, considerò più utile per me e per il suo locale, ignorare l’accaduto. In privato, però, mi affrontò a brutto muso e mi disse. Dodo io non ti capirò mai. Ma come, viene qui un personaggio della levatura di Preminger per pregarti in ginocchio di essere carina con lui e tu butti dalla finestra una occasione del genere? Bernardin non aveva tutti i torti. Se avessi fatto meno la sostenuta con Otto Preminger, sarei probabilmente divenuta un stella del cinema. Se avessi accettato la sua corte, il ruolo di Giovanna D’Arco nel film che lui stava preparando e che poi fu affidato a Jean Seberg, sarebbe stato mio. Invece, io, da buona tedesca, gli dissi no, perché fu volgare e si comportò da prepotente. Accadde una sera, dopo lo spettacolo. Preminger, preceduto da un enorme mazzo di rose, venne a trovarmi in camerino e mi invitò ad uscire con lui. Accetto, gli dissi subito, ma a condizione che la serata finisca come voglio io e non come vuoi tu. Insomma dovrò essere io a decidere. Accettò le mie condizioni, ma volle regalarmi ugualmente un delizioso abito da sera (velluto nero e colletto di ermellino). Senza impegno, mi disse. E’ un omaggio disinteressato. Le cose, comunque, precipitarono quando gli feci capire chiaramente che, almeno per quella notte, preferivo andare a letto da sola. Non capisci, mi disse Preminger rosso di rabbia., che ho rischiato la mia reputazione ad uscire con te. Io avevo tutto da perdere e tu tutto da guadagnare. Ma tu vuoi fare la sostenuta, vuoi recitare la parte della verginella, e non ti accorgi di buttare a mare la più grande occasione della tua vita. Non fu per eccesso di serietà che dissi no a Otto Preminger, ma per la sua arroganza. Probabilmente se fosse stato più dolce, se avesse chiesto con più garbo, non avrei fatto tante storie. Solo che non tollerai di essere trattata come una preda facile”.
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